Domenica sera, una cena elettorale come tante. Qualcuno pensa che siano diventate un evento raro di questi tempi: sbaglia. Sono solo meno vistose, pubblicizzate, e di basso profilo; si vuole normalizzare quello che normale non è. Per primi arrivano il candidato, ed il suo portaborse. Parlano in maniera fitta, non si guardano neppure attorno. La moglie, deputata, saluta distrattamente; veste in maniera casual, ma firmata. Seguono un paio di anziani in divisa da persone serie (giacca, cravatta etc) con signore; assomigliano uno a Pomicino, l'altro a Pezzotta: par condicio. Sono, in assoluto, i primi ad arrivare; capirò poi perché. C'è poi il "finanziatore", imprenditore locale che si assicura che tutto sia pronto. Entrano nella sala assorti nei loro pensieri, scelgono dapprima un tavolo più appartatato, poi si alzano e ne scelgono uno nella sala principale; "piu vicino al popolo", dirà un commensale sorridendo. Resto serio. Una buona mezzora più tardi, arrivano i cittadini ospiti; una ventina di persone in tutto: un flop. L'imprenditore si preoccupa di mettere due tavolate vicine per far sembrare la sala piena; gli preme, spostano i tavoli. Dopo qualche cenno di saluto, comincia la cena. Il tavolo del candidato snobba il piatto di antipasti di pesce crudo; forse non si fidano. Divorano invece i cotti, crostacei, molluschi, di cui resta poca traccia. Gli altri tavoli mangiano tutto; non conoscono il menù, hanno paura che la cena finisca lasciandogli la pancia vuota. Un gruppetto di indiani (ma voteranno?) chiede preoccupato se può avere una birra: sarà compresa? Entra un gruppetto di 3 persone, trafelate, stanche. Hanno in mano le locandine elettorali, sono quelli dell'entourage che fanno il "porta a porta": gli sorrido, mi fanno tenerezza. Si siedono ad un tavolo a parte, cercando di recuperare il tempo perduto. Finiti gli antipasti, si alza la deputata. Chiede lumi sul continuo della cena; ne devono andare a fare un altra; ora capisco l'orario monacale di questa. Chiede di servire un solo primo piatto, e subito dopo il dolce; appena finito il marito potrà fare il suo discorso e correre nell'altro ristorante; chissa quanta fame avranno gli ospiti. La assecondano, ma tradisce i patti; non me ne stupisco. Finito il primo, nel momento in cui cominciano a servire il dessert, il candidato si alza e prende la parola. I camerieri continuano a portare, e comincia una scena surreale. Nel mezzo del discorso elettorale, gli ospiti vedono la loro mousse sciogliersi, la panna affievolirsi; qualcuno tenta una mezza cucchiaiata, ma il disagio è troppo: bisogna desistere, aspettare. Passano dieci minuti, un'eternità. E alla fine del discorso scoppia un applauso scrosciante, liberatorio, finalmente sincero: si può mangiare. Qualcuno chiede un caffè, non è compreso, glielo negano. Finalmente. È finita. I commensali si alzano in fila indiana, il candidato saluta tutti guardandoli, per un attimo, negli occhi. È un vecchio trucco da prestigiatore, serve a dare importanza ad ogni sguardo, chissa quanto sia utile. L'imprenditore ringrazia, spende ultime parole di convincimento, paga, pare soddisfatto; pure questa è andata. L'ho intitolato sogno di una notte di mezza estate; a me, è parso un incubo.
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Domenica sera, una cena elettorale come tante. Qualcuno pensa che siano diventate un evento raro di questi tempi: sbaglia. Sono solo meno vistose, pubblicizzate, e di basso profilo; si vuole normalizzare quello che normale non è. Per primi arrivano il candidato, ed il suo portaborse. Parlano in maniera fitta, non si guardano neppure attorno. La moglie, deputata, saluta distrattamente; veste in maniera casual, ma firmata. Seguono un paio di anziani in divisa da persone serie (giacca, cravatta etc) con signore; assomigliano uno a Pomicino, l'altro a Pezzotta: par condicio. Sono, in assoluto, i primi ad arrivare; capirò poi perché. C'è poi il "finanziatore", imprenditore locale che si assicura che tutto sia pronto. Entrano nella sala assorti nei loro pensieri, scelgono dapprima un tavolo più appartatato, poi si alzano e ne scelgono uno nella sala principale; "piu vicino al popolo", dirà un commensale sorridendo. Resto serio. Una buona mezzora più tardi, arrivano i cittadini ospiti; una ventina di persone in tutto: un flop. L'imprenditore si preoccupa di mettere due tavolate vicine per far sembrare la sala piena; gli preme, spostano i tavoli. Dopo qualche cenno di saluto, comincia la cena. Il tavolo del candidato snobba il piatto di antipasti di pesce crudo; forse non si fidano. Divorano invece i cotti, crostacei, molluschi, di cui resta poca traccia. Gli altri tavoli mangiano tutto; non conoscono il menù, hanno paura che la cena finisca lasciandogli la pancia vuota. Un gruppetto di indiani (ma voteranno?) chiede preoccupato se può avere una birra: sarà compresa? Entra un gruppetto di 3 persone, trafelate, stanche. Hanno in mano le locandine elettorali, sono quelli dell'entourage che fanno il "porta a porta": gli sorrido, mi fanno tenerezza. Si siedono ad un tavolo a parte, cercando di recuperare il tempo perduto. Finiti gli antipasti, si alza la deputata. Chiede lumi sul continuo della cena; ne devono andare a fare un altra; ora capisco l'orario monacale di questa. Chiede di servire un solo primo piatto, e subito dopo il dolce; appena finito il marito potrà fare il suo discorso e correre nell'altro ristorante; chissa quanta fame avranno gli ospiti. La assecondano, ma tradisce i patti; non me ne stupisco. Finito il primo, nel momento in cui cominciano a servire il dessert, il candidato si alza e prende la parola. I camerieri continuano a portare, e comincia una scena surreale. Nel mezzo del discorso elettorale, gli ospiti vedono la loro mousse sciogliersi, la panna affievolirsi; qualcuno tenta una mezza cucchiaiata, ma il disagio è troppo: bisogna desistere, aspettare. Passano dieci minuti, un'eternità. E alla fine del discorso scoppia un applauso scrosciante, liberatorio, finalmente sincero: si può mangiare. Qualcuno chiede un caffè, non è compreso, glielo negano. Finalmente. È finita. I commensali si alzano in fila indiana, il candidato saluta tutti guardandoli, per un attimo, negli occhi. È un vecchio trucco da prestigiatore, serve a dare importanza ad ogni sguardo, chissa quanto sia utile. L'imprenditore ringrazia, spende ultime parole di convincimento, paga, pare soddisfatto; pure questa è andata. L'ho intitolato sogno di una notte di mezza estate; a me, è parso un incubo.
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