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“Solar” di Ian Mc Ewan

Creato il 22 gennaio 2011 da Sulromanzo

“Solar” di Ian Mc Ewan(traduzione di Susanna Basso, ed. Einaudi 2010)

 

Ian Mc Ewan riesce ogni volta a sorprendermi. Ci ha fatto sperimentare negli anni tutta la gamma delle emozioni: la crudeltà, la fascinazione morbosa e il raccapriccio in Cortesie per gli ospiti; l’ambizione, il desiderio, l’inevitabilità del destino in Espiazione; lo scandaglio psicologico il rimpianto nell’amore disfatto del protagonista di Chesil beach, per citare solo tre esempi che sono, ognuno nel suo genere, tre capolavori contemporanei.

Nell’ultimo romanzo, Solar, è come se tutti questi sentimenti fossero stati ripresi ed edulcorati in un reagente chimico diverso, quello dell’ironia.

Ironia, dal greco eironeia, ovvero falsità, ipocrisia, finta ignoranza, dissimulazione. Sembra proprio che Mc Ewan abbia scelto questo registro specifico, questa cifra interpretativa e stilistica, per raccontare le profondità più nascoste del protagonista, il premio Nobel per la Fisica Michael Beard, per l’appunto un grande dissimulatore.

“Apparteneva a quella categoria di uomini – tendenzialmente spiacevoli, quasi sempre calvi, bassi, grassi, intelligenti – che, per ragioni misteriose, attraggono certe belle donne. O così credeva, e pensarlo pareva bastare.”

Questo l’inizio, innestato immediatamente sulla descrizione del protagonista, un uomo che  seguiremo in tutte le sue debolezze per circa dieci anni, a partire dal 2000. La vicenda inizia quando Michael Beard, al suo quinto matrimonio, scopre che la moglie trentaquattrenne, Patrice, lo tradisce con Rodney Tarpin, il muratore che ha eseguito i lavori della loro villetta. A nulla gli serve pensare che lui stesso ha tradito le sue mogli precedenti innumerevoli volte: “…nessuna donna gli era sembrata, a gesti o a parole, desiderabile quanto la moglie che all’improvviso non poteva più avere.” Allora cerca di distrarsi passando tre notti con una sua vecchia amica a Lisbona, ma ne ricava solo un senso profondo di perdita e malinconia.

E già da queste primissime pagine, che incastrano il protagonista in un momento cruciale, in un giro di vite della sua esistenza, è lo stesso lettore ad essere incatenato, imprigionato, nel provare solidarietà e immedesimazione per un personaggio che nella realtà può suscitare soltanto riprovazione. Mentre invece, nella finzione romanzesca, nella mirabile mimesi del narratore (nel senso della Mimesis di Erich Auerbach, che contraddistingue ogni vero narratore nella sua capacità di tessere storie e finzioni come fossero vere), il lettore finisce con il seguire le vicende di Beard parteggiando per lui, prendendo inconsapevolmente le sue difese, provando insieme a lui la paura di essere di nuovo tradito e scoperto.

Contemporaneamente a questa vicenda privata, Beard, che anni prima ha ricevuto il premio Nobel per la Fisica, sembra vivere ormai solo della luce riflessa di quella gloriosa ma remota attestazione e si ritrova sterilmente a rimpiangere di non avere più nessuna geniale intuizione scientifica. Fino a che, in un giorno fatidico che si incastra perfettamente con la scoperta del tradimento e della propria inaspettata vulnerabilità sentimentale, riceve la direzione del Centro nazionale per le energie rinnovabili. Tra gli studiosi legati al centro, Beard incontra Tom Aldous, un giovane non ancora sfiorato dall’amarezza del disincanto, e soprattutto convinto del potere salvifico connesso alla missione dello scienziato, tanto da concepire un’intuizione in grado di salvare il pianeta. Anche su questo fronte il protagonista, cui sembra ormai tutto precluso, dovrà fare i conti con il proprio desiderio di affermazione e tenterà, ovviamente a suo modo (e non si può anticipare altro), di ristabilire l’equilibrio della sua esistenza che ormai credeva perduto. E con lui il lettore, legato a filo doppio dal “burattinaio” Mc Ewan, alle sorti di questo singolare protagonista fino al fantasmagorico finale.


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