“Le condizioni di successo dell’integrazione europea continuano a coincidere, in larga misura, con quelle che valgono per assicurare un futuro migliore ai nostri figli”, e ciò anche se avessimo una nostra moneta: “se uscissimo dall’euro e recuperassimo un po’ di sovranità monetaria, poi, il giorno dopo, ci ritroveremmo più o meno con gli stessi problemi da risolvere”: queste le convinzioni alla base del libro ‘Un’anima per l’Europa’ di Giacomo Vaciago, il quale indica nell’economia sociale di mercato la strada da percorrere per realizzare una Comunità stabile e pienamente compiuta.
Secondo Vaciago, negli ultimi quindici anni è stata raggiunta solo una “unione molto incompleta”. Questo per diversi motivi, tra cui in particolare il fatto che “come già dimostrato dal Rapprto Monti del 2010, non è mai stato completato il mercato interno, la cui qualità sarebbe dovuta migliorare grazie alla moneta comune”. Un mercato di buona qualità, “dove cioè il consumatore è sovrano”, e che superi i confini nazionali, è stato realizzato solo nel settore industriale. Per il resto, molto ancora è nelle mani di Governi nazionali e locali e delle tante corporazioni di ogni paese. Ne risulta che “una vera unione economica estesa a tutto il reddito prodotto nell’Eurozona è un progetto lungi dall’essere compiuto”, e lo stesso si può dire per l’unione monetaria: “oggi l’unica cosa che può liberamente circolare è il circolante, che è meno del 10% dello stock di moneta”. In conclusione, afferma l’economista, “finché non si realizzerà l’unione bancaria, non dovremmo neppure parlare di unione monetaria”.
Vaciago ricorda le parole di Guido Carli in un intervento al Senato nel 1992 per la ratifica del trattato di Maastricht, il quale, ribadendo “la tradizione del pensiero liberale di Luigi Einaudi, tesseva l’elogio di una economia di mercato, basata su buone leggi e resa efficiente da stabilità monetaria e disciplina di finanza pubblica”. Non a caso, continua l’autore, i detrattori dell’euro non si accontentano del ritorno a una propria moneta, ma avanzano proposte che, insieme a un atteggiamento “protezionista”, mirano all’isolamento del paese che causerebbe “il ritorno ai vizi del passato: inflazione e debito pubblico”.
Ciò che è mancato finora è stata in sostanza la volontà di attuare un destino comune: ogni unione presuppone il desiderio di realizzare un bene condiviso, per cui è necessaria l’attitudine a fare qualcosa “per” gli altri e non solo “con” gli altri. La solidarietà e la cooperazione acquisiscono in quest’ottica una importanza primaria: è la mancanza di questi valori, più che le recenti tendenze antieuropeiste, che rischia di far svanire il sogno europeo nato venticinque anni fa.
MC