Per questo non sottoscrivo le petizioni di facebook a favore di “cause” estemporanee, digitali, dettate dai titoli di un giornale. Cosa vuoi che possa contare il condividere un’immagine di Peppino Impastato dove sotto c’è scritto di adottare una piazza in suo nome? Conta poco. Conta nulla. Non te la ricordi nemmeno più. Conta esattamente quanto ti è costato il gesto, il beau geste, di cliccare su “condividi”.
Quanto costa e cosa costa la testimonianza di una solidarietà umana reale, vera, tangibile? E’ una domanda cui non so rispondere. E’ una domanda che ha un miliardo di risposte. Quello che resta, in domande e risposte, è la valutazione di un “costo”. Il peso morale e materiale di quel costo è la prova di cui scrivo all’inizio. La testimonianza, la concretezza, i fatti e i comportamenti costituiscono il nostro unico metro per “pesare”, appunto, con chi abbiamo a che fare, parenti, amici, sconosciuti incontrati per strada, chiunque entri nella nostra storia per un accidente, un destino, il volere divino.
Questo sbobbone, come direbbe Ivana, nasce da tre storie diverse. Storie che mi uniscono a tre persone in particolare. In ogni caso, si tratta di compagni di viaggio. A nessuno di loro ho da rimproverare qualcosa, anzi. Che sappiano, qualora dovessero sentirsi chiamati in causa, che di riflessione serena e pacata si tratta (serenamente, pacatamente, per citare Veltroni) e che dentro al cuore mi sono (citazione di Schifani) come Ciccio Baiano. Sono storie come quelle che abbiamo tutti. Storie di amicizia. Di lavoro. Persone con cui hai diviso il pane, hai condiviso speranze. A volte anche lotte. Il pane, la speranza, le lotte sono testimonianze. La solidarietà è fatta della loro stessa materia. Per intenderci. E a questo che volevo arrivare. C’è voluto un poco. Scusate, e che mi piace essere prolisso. Buon palindromo a tutti.