Forse l’ho già citato, comunque ho scoperto questo sito americano che si occupa di trovare articoli con un pregiudizio favorevole nei confronti della crescita a tutti i costi, econoimca, dei consumi o demografica, e di analizzarli. Serve a evidenziare quanto subdolo e diffuso sia questo genere di pregiudizio, e ad insegnare a riconoscerlo e a difendersi. Il possibile limite di questa operazione è che rischia di raggiungere solo chi già vede così le cose, e di diventare ripetitiva.
Comunque, avevo pensato che dovrei anch’io mettermi a fare una cosa simile. Ogni lamentela da parte dei sindacati che i consumi non ripartono (consumi di cose in gran parte inutili), ogni lagna che le donne italiane non figliano abbastanza, ogni protesta decontestualizzata che “non c’è lavoro”… meriterebbero un bel post che sputtani la pigrizia giornalistica e l’asservimento alla visione del mondo dominante (e suicida) del nostro tempo. Solo che si sta tanto a fare questo e poi, appunto, non voglio annoiare. Però oggi faccio un esempio tratto dalla stampa locale di questo genere di pregiudizio. Il giornale titola: “in un anno solo 10445 nascite”. Quando uno dice che ha “solo” qualcosa, è chiaro che vuol dire che non gli basta. Ma l’articolo non spiega perché. Perché le nascite devono per forza essere più di undicimila? In base a cosa? Perché viene dato per scontato? Perché non si fa un’analisi seria, invece di suggerire con un avverbio che la cosa non va bene, e non dire al lettore perché?
Come al solito, si ringraziano le straniere perché fanno figli. Ho già detto in passato che questo è invece il problema principale dell’immigrazione: aumenta la popolazione in un paese già al collasso. L’articolo ci dice anche che il 60% delle partorienti ha un lavoro, e che la stragrande maggioranza fa più di quattro ecografie. Le gravidanze saranno “rare”, ma sono seguite, meditate, scelte da donne che vogliono dare un tenore di vita adeguato al proprio figlio e magari aspettano a farlo finché non se lo possono permettere – e si sentono realizzate nella loro vita. Cosa c’è di negativo in tutto ciò? E poi, perché lamentare i pochi parti quando sappiamo tutti che il paese è in difficoltà, che un bambino costa sia alla famiglia che alla collettività, e che le risorse scarseggiano?
Purtroppo, dei due lettori che hanno commentato finora, nessuno pensa all’ambiente e solo uno si chiede che senso abbia mettere al mondo figli a tutti i costi quando non ce li si può permettere. L’altro inneggia invece alla procreazione in tempo di crisi, come tra le due guerre mondiali, nella gloriosa epoca fascista, quando i figli crescevano nella povertà per poi emigrare, e le donne andavano a spaccarsi la schiena nei campi con un pancione dietro l’altro, mentre gli uomini erano via per portare qualcosa da mangiare alle loro numerose famiglie, e il colonialismo rapace sembrava la valvola di sfogo della nostra miseria. Bei tempi.