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Solo Dio perdona – Only God Forgives

Creato il 31 maggio 2013 da Ildormiglione @ildormiglione

Only-God-Forgives-Ryan-GoslingQuando dietro la macchina da presa c’è il danese Refn, raramente può essere prevedibile il risultato, perchè è un regista che fa della sperimentazione introspettiva il proprio marchio di fabbrica. “Solo Dio perdona” nè è la prova più estrema. E’ una storia semplice, persino banale nella sua linearità, eppure il risultato finale è di quelli destinati a lasciare il segno. La verità è che si ha l’impressione che non importi davvero la storia, un po’ come era stato per “Drive“, ma che l’unica cosa importante davvero siano i personaggi, la loro caratterizzazione, i legami che instaureranno ed il viaggio che li porterà ad un finale inaspettato e biblico. Per rendere chiaro questo manifesto cinematografico, Refn sfrutta sequenze astratte in cui improvvisamente decide di togliere le voci, trasformando, per diversi secondi, la pellicola in un film muto in cui lo spettatore dovrà confrontarsi solo su quello che vede. In questo il regista danese è maestro, pittore dell’animo umano conturbato e conturbante, scultore delle paure dei suoi personaggi e degli spettatori, fotografo eccezionale di momenti indelebili. “Solo Dio perdona” colpisce il cuore, ma anche e soprattutto lo stomaco e la mente. Ma se la storia in superficie racconta di una vendetta finita nel peggiore dei modi, come nei migliori pulp degli ultimi anni, sottotraccia ci sono tre personaggi, le cui storie e psicologie deviate, rendono il film una rivelazione dell’anima. A differenza di “Drive” che era un film sulla musica e sul cinema pop,  ”Solo Dio Perdona” è una pellicola che racconta, senza censure se non quelle autoimposte, il complesso edipico, la comprensione della rabbia e le conseguenze dell’odio. Ma come detto il film è i  tre protagonisti, tra cui spicca, probabilmente per una questione di fama, lo strepitoso, ancora una volta, Ryan Gosling, relegato nuovamente a uomo di ghiaccio, apatico ed apparentemente indifferente, che fa delle poche parole ma della grande capacità e carica espressiva il suo modo d’essere perfetto. Qui lui è Julian, personaggio stilizzato fino all’estremo, dalle movenze lente quasi da sonnambulo che viaggiano di pari passo con le sue emozioni. Qui lui è un ragazzo totalmente succube della madre, umiliato e ferocemente frustrato, ma che non ha sbocchi emotivi, tanto che soddisfa gli impulsi sessuali rimanendo seduto e legato ad una sedia mentre la sua prostituta di fiducia inizia a masturbarsi. Perchè nella Bangkok di Refn c’è spazio solo per la violenza, la prostituzione a buon mercato, le ragazze truccate da geishe che possono solo chiudere gli occhi e non guardare, un traffico di droga solo accennato e mai svelato per davvero, e per il “turismo” aggressivo degli americani che si trasforma in vera e propria attività illegale. Ed è qui che si colloca il secondo personaggio della storia che il regista danese ci mostra, ossia una sorta di poliziotto-giustiziere che vive secondo un codice biblico, da Vecchio testamento, senza alcuna remora morale o rimorsi. Gira con la sua katana Vithaya Pansringarm, nemesi ideale di Julian, che si muove con una lentezza quasi irritante, circondato da un aurea quasi divina o marziana, e che diventa pressoché inarrestabile. Pensare che ha la faccia buffa, da brav’uomo, da padre premuroso, e probabilmente nella sua anaffettività lo è davvero. Ma se il personaggio di Gosling, nelle sue perversioni, riesce a provare compassione e pietà, Chang, questo il nome del personaggio interpretato dall’attore thailandese, non ne prova alcuna. In questa situazione paranoica e nevrotica che farebbe impazzire anche Freud, si inserisce il personaggio più riuscito, quello della madre di Julian, interpretata meravigliosamente da Kristin Scott Thomas (molti la ricorderanno in “Quattro matrimoni e un funerale” ma soprattutto ne “Il paziente inglese“, oltre che nell’incredibile “Ti amerò sempre“), che crea e disfa la fragile mente del figlio, legata a lei da un rapporto edipico compulsivo. Madre ossessiva, pronta ad umiliare chi ha intorno (pazzesca, nella sua inquietante messa in scena, la sequenza nel ristorante al cospetto di Julian e della sua ragazza/prostituta), in cerca di vendetta. Un triangolo pericoloso che porterà la situazione ad esplodere ad ogni passo lento, attraverso gesti poetico-deliranti, attraverso una fotografia paradossale nella sua coerenza che gioca con le luci e con i filtri rosso sangue. Chi si aspetta un film come “Drive“, rimarrà inevitabilmente deluso, perchè qui non c’è la musica di Kavinski, nè tantomeno la giacca con lo scorpione, nè una dolce ragazza in ascensore. In “Solo Dio perdona” c’è quanto di più deviato si possa immaginare:  sangue, torture (ad esempio c’è il famoso taglio dell’occhio di Buñuel, ma Refn non lo lascia affatto sottintendere!), rapporti edipici, giustizieri imbattibili, un Ryan Gosling livido e gonfio quasi irriconoscibile. E c’è anche il karaoke thailandese, che in altri casi probabilmente avrebbe stonato con l’andatura del film, ma che nella pellicola di Refn diviene inquietante, persino sconvolgente, ma sicuramente funzionale a tutto il film ed ai tre protagonisti. La verità è che in questo film Dio non esiste affatto.

Voto 8,5/10



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