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SOLO DIO PERDONA (Only God Forgives)

Creato il 05 giugno 2013 da Ussy77 @xunpugnodifilm

26467Una tragedia contemporanea in cerca di catarsi

Nichilismo refniano e ultra-violenza. Nicolas Winding Refn (insieme al feticcio Gosling) si sposta a Bangkok e realizza un’opera che provoca discussioni e che fatica a trovare una propria collocazione.

Billy e Julian sono fratelli. Billy una notte, preso da un raptus omicida, uccide una prostituta minorenne. Trovato nella camera d’albergo con il cadavere, viene ucciso dal padre della ragazza con il placido benestare del poliziotto atipico Chang. La madre di Billy e Julian, a capo di un’organizzazione criminale, raggiunge Bangkok e chiede la testa dell’assassino di Billy. Tuttavia Julian, considerato inferiore rispetto al fratello e succube della madre, non lo vendica, perché riconosce la colpevolezza del fratello.

Cannes è stata eccessiva. I buu e i fischi hanno probabilmente provocato pregiudizi nei confronti dell’ultimo prodotto del regista danese. Di alcune opere si sente la necessità di contestualizzarle all’interno della filmografia. E Solo Dio Perdona (Only God Forgives, 2013) è sicuramente una di queste. Figlio legittimo della progressiva esclation feroce, che contraddistingue il cinema di Refn, e successivo al capolavoro Drive (2011), il film mantiene l’ultra-violenza (addirittura la triplica) e si fa estremamente nichilista, cancellando anche quell’ultimo barlume di luce che incarnava lo stuntman Driver. Difatti in Drive si assisteva a un dramma noir e silenzioso, ma estremamente romantico, nel quale il romanticismo passava sotto-traccia attraverso gesti e sensazioni. Driver era l’eroe romantico. Vestiva i panni del giustiziere (giubbotto di pelle incluso) dallo sguardo duro e l’animo dolce, vendicava e uccideva; entrava in un turbinio di violenza incontrollata, ma a tratti necessaria. Diversamente in Solo Dio perdona assistiamo a qualcos’altro. L’eroe romantico diviene un goffo buono a nulla, un delinquente eroso dai sensi di colpa e che soffre di un complesso edipico nei confronti della madre-padrona Jenna (interpretata da una sboccatissima e inedita Kristin Scott Thomas). Tutto questo è immerso in un microcosmo violento e che non prova patetismi e perdono per i protagonisti, ma neppure per lo spettatore. Refn serve un piatto crudo, brutale ed esplicito. Non risparmia nulla e si muove abilmente tra squartamenti, amputazioni e “legge del taglione”. Occhio per occhio, dente per dente. Vige la legge della vendetta o della giustizia morale, quella che imbraccia una katana e preferisce le punizioni corporali.

Il difficile, sicuramente, è riuscire a oltrepassare l’impressionabilità delle immagini. Perché dietro quelle sequenze tinte di rosso (sangue, forse una scelta un po’ banale) si nasconde un film visionario e onirico. Una nuova metafora sul fallimento umano, nella quale consapevolezza e senso di colpa vanno a braccetto. Proprio come quella ripetitiva ostentazione delle mani di Julian (delle brillanti soggettive), quelle mani che si trasformano in pugni e che non trovano pace, se non protese in avanti, attendendo la punizione.

Abbiamo iniziato questa recensione effettuando un confronto (necessario) tra Drive e Solo Dio perdona, andando ad analizzare i due protagonisti e differenziandone i due caratteri. Driver, nonostante la furia vendicativa, era un eroe positivo e romantico, mentre Julian è un goffo prodotto del contesto in cui è inserito. Eppure Refn gli permette la redenzione e non lo include nel violento turbinio, che vede giustiziere sommario il poliziotto Chang, un co-protagonista silenzioso e a tratti ridicolo (questo humour nero mancava prepotentemente in Drive). Che Julian sia un eroe velatamente positivo in un universo negativo e nichilista? Probabilmente sì. È lui che identifica la colpevolezza del fratello e che non condivide la vendetta condotta dalla madre. Ed è sempre lui che non sfiora nemmeno con un dito la prostituta che l’accompagna o che riconosce il valore della vendetta, senza eccedere.

Pellicola dalla tensione meno coinvolgente e caratterizzato da una vicenda che, ostentando un’eccessiva violenza, rischia di non farsi comprendere totalmente e di rifuggire il grande pubblico, Solo Dio perdona si fa metafora e abbagliante cartina tornasole della bravura e della competenza stilistica di Refn. Difatti se i silenzi “parlano” e i movimenti  di macchina sono caratterizzati da una versatilità invidiabile (primi piani, zoom, dettagli per non lasciare nulla al caso, senza dimenticare panoramiche a strapiombo e una fotografia soffusa) non si può parlare di una pellicola minore o abbozzata. Cannes ha sottovalutato un film che, sicuramente, è inferiore per originalità e coinvolgimento al suo predecessore Drive, ma non per questo è una pellicola da evitare. Non solo i fischi erano eccessivi, ma immeritati.

Uscita al cinema: 30 maggio 2013

Voto: ***1/2


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