Di Alessia Colognesi
Alberto Torres Blandina e Il club dei desideri impossibili, qualità e marketing
Qual è la funzione di una fascetta su un libro appena uscito in libreria? Renderlo visibile e dargli credibilità risponderebbe un esperto di marketing editoriale.Io ho scelto di leggere Il club dei desideri impossibili, grazie alla fascetta azzurrina piena di parole che lo avvolgeva come un pacco regalo.
“Alberto Torres Blandina costruisce un romanzo partendo da un lieve movimento ed è così che si scatena una festa per gli amanti della buona letteratura... Luis Sepùlveda”.
Adoro Sepùlveda e così ho pensato: “Beh, se la fascetta è suggellata da una grande firma della letteratura sudamericana, sarà un sicuro successo, ovvio no?”Poi ho scorso le prime pagine sbocconcellando qua e là frasi alla rinfusa e per tutta risposta ho acquistato quel libro compulsivamente secondo l’istinto pavloviano che mi assale ogni volta davanti ad un nuovo romanzo. Pagina dopo pagina, Il club dei desideri impossibili, tradiva sempre più le mie aspettative.
Sono stata raggirata da troppo merchandising di parole come un consumatore solo e disperso tra le corsie di un ipermercato di libri, inebetito sotto le luci al neon di una moderna libreria fai da te. Lo confesso. Certe librerie, subissate di libri di ogni genere, mi danno alla testa. Quella volta mi sono sentita un lettore solo e sono incappata in un libro del tutto diverso da come me l’ero immaginato.
Salvador Fuensanta fa lo spazzino in un aeroporto, lo fa da tanto tempo, talmente tanto che tra poco andrà in pensione. In tutti questi anni Salvador ne ha viste passare di persone, storie di vite in transito che s’incrociano per non rincontrarsi più. È così che lui, senza partire mai, è diventato cantastorie in un terminal metropolitano ed ha trasformato l’anonimato di un aeroporto, in un luogo ricco di segni e racconti che fanno di un non-luogo un ambiente caldo e rassicurante, dove alle persone accade di rincontrarsi e scoprire destini incrociati.
Questo libro inizialmente mi ha colpito per la sua organicità, un cantastorie spazzino che tiene le fila di una raccolta di racconti era davvero originale. È difficile leggere una raccolta di racconti, spesso è una letteratura di storie che si esauriscono in poco tempo, dove il lettore che accetta di imbattersi da una vicenda all’altra, non può sapere fino alla fine se quell’altra storia che viene dopo, gli piacerà abbastanza.
Nel libro di Alberto Torres Blandina le storie formano un collage perfetto, ambientate nel medesimo luogo e accomunate dalla lieve voce narrante di un curioso cantastorie, ma alla fine di ogni vicenda è come se qualcosa non ti convincesse fino infondo e da lettore appassionato ti tramuti in “lettore a bocca asciutta”, ti assale una sorta di delusione che ti fa venir voglia di smettere di leggere.
Il club dei desideri impossibili non mantiene la promessa che ogni incipit di capitolo fa ben sperare, ciò che ti ha fatto assaporare con una narrazione coinvolgente, ricca di suspense e diretta, si stempera e perde di spessore in ogni finale che appare a tratti forzato, oppure solamente banale, comunque sempre per niente in linea con il giocoso clima d’attesa creato ad hoc dal narratore.
Questo libro ti stordisce di parole come in una fiesta di colori, i racconti che si susseguono, iniziano e poi vengono intervallati da altre storie. È uno stile di scrittura caratterizzato da un brusio letterario di sottofondo che distrae e destabilizza obbligandoti, nei casi estremi, alla rilettura.
I racconti del vecchio Salvador sono tutti surreali, veri e propri viaggi mentali come quello da cui prende nome il romanzo. La storia di Domingo Millón, timido e impacciato pendolare che si ritrova a parlare con una splendida donna nella sala d’attesa di un aeroporto e che al suo rientro, magicamente, è coricata sul divano di casa sua con addosso la sua maglietta, pronta a soddisfarlo.
Ogni storia prende spunto dall’osservazione di un particolare di una persona che emerge dall’anonimato di un luogo impersonale, ma alla fine ogni vicenda ti lascia un inspiegabile amaro in bocca. É il caso della storia di Mia, chiamata così da Pau, dopo che gli era apparsa immersa tra i pensieri, seduta su una panchina dell’aeroporto. Aveva perso la memoria sbattendo la testa nel bagno di un aereo e Pau l’aveva aiutata a ritrovarla inventandosi di sana pianta tutta un’altra vita, perché racconta Salvador: “La nostra vita è quella che vogliamo noi, la forgiamo giorno dopo giorno...”.Vicende apparentemente originali che poi diventano fintamente irreali scadendo nella banalità.
Il finale a sorpresa sembra un’altra storia, all’inizio è incomprensibile, ma poi diviene riduttivo e rispecchia l’andamento di tutto il romanzo. L’aeroporto indice una selezione del personale per reintegrare la figura di Salvador, questa volta però ricerca un attore, non un semplice spazzino, ma un cantastorie che si finga tutto fare e interpreti la parte di Salvador.Al neopensionato non resta che partire. In viaggio con l’amica giornalaia inizia un nuovo capitolo della sua vita.
Un vero happy end, annunciato dalla fascetta del marketing editoriale:"...È un innovatore? Sì, ma con un bagaglio culturale che si respira ad ogni riga e non cade mai nella pedanteria. Il risultato è un libro fresco, agile, spassoso e sorprendente”.
Non cercavo la realtà in questo libro, ma la conferma di una promessa che lo sigillava. Innovatore è chi con la scrittura sa inventare un mondo possibile al di là del mondo reale in cui ci si possa finalmente perdere senza smettere di stupirsi. Chi ama leggere nutre un profondo rispetto per le parole, il loro ordito e il mondo di significati che vi si celano. I dati dicono che il popolo dei lettori è in estinzione e scrivere è sempre più una gran bella responsabilità!
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