I ragazzi africani hanno orecchie solo per il rap. Da qualsiasi parte vengano, qualunque lingua parlino, qualsiasi dio preghino, indossano per giorni la maglietta di 2Pac. Cuffie alte e sguardi lontani, se gli parli ti rispondono dopo un po’, non potevano vederti né sentirti. La lingua che unisce gli uomini neri di storia e di sole, perduti e innumerevoli figli d’Africa che si ostinano a immaginare un domani, contro qualsiasi fosca e deprimente prospettiva, nonostante la conoscenza di grossa parte del male della Terra, è una reazione chimica di tamburi e metropoli, di Americhe e catene taglienti, del nostro mare di Europa del sud che, fragile e paurosa, non potrà mai fermare l’esodo. Nulla di nuovo nella storia del mondo. Ritorna l’uomo antico che partì lontano a sbiancarsi nei boschi piu’ freddi e sui ghiacciai mai calpestati da esseri umani, in lande sconosciute, senza più memoria della strada, della lingua, della meta, della partenza, dell’inizio misterioso e perduto. Nero di origine, nero di pelle, nero che quando allo stadio la curva fa bù, l’uomo in metro fa beh, il legista fa bah, l’indifferente fa bo’, io davvero non so perché mai dovrei prendere sul serio queste mandrie di esseri umani che non dubitano mai di un cazzo di niente. Nero che le pietre spacca, nero che spaccia, nero magnaccia, nero spacciato dal caldo di Puglia rossa di sangue e pomodoro. Nero perdono. Nero che ero, nero che sono. Dove va il nero andrà l’uomo.