Sulla solita panchina a aspettare l’ennesima coincidenza, in uno dei pochi momenti soleggiati di questo maggio insopportabile, mi decido per andare a prendere un cono gelato al botteghino laggiù. Faccio qualche passo, scarto il mio cono, lo addento soddisfatta (ma quanto tempo è che non mi mangio più un gelato?!) e ritorno a ri-sedermi alla panchina.
Tutto d’un tratto, mentre mi appresto a mangiare l’ultima punta del cono, quella interamente di cialda e cioccolata, che è una maestosità imperiale di gusto, in quell’istante, mi vola ai piedi un passerotto.
Beh si sa in stazione ce ne sono tanti di uccelli, piccioni, rondinini… ma questo passerotto mi fa tanta tenerezza perchè sta lì, mi guarda, ruota la testa e il collo per orientare meglio gli occhi verso le mie mani che stringono la cialda… i suoi occhi sono piccini come due bottoncini tutti neri e lucidi, e mi guardano, sembrano intelligenti, forse troppo intelligenti per essere quelli di un passerotto. Penso che da un momento all’altro possa volare e venire a prendersi dalle mie mani il boccone che ha adocchiato, e per questo cerco di non muovermi.
Pettirosso (Photo credit: Simone.Monguzzi.P)
Fosse per me, io lascerei cadere la preda per terra, ma non vorrei mai che poi- dovendo aspettare ancora molto- stormi di uccelli mi assalgano. In più c’è quella signora seduta accanto che mi guarda come per dire ‘Ma che stai a ffà? Mangiati ‘ste cono e falla finita che lui se ne va’.
Così sotto l’ipotetica pressione delle donna e la mia paura di essere assalita e magari a mia volta becchettata ovunque dagli stormi di uccelli presenti in tutta la città, ingoio la cialda.
Sto ancora sgranocchiando, che l’uccellino mi guarda quasi deluso e spicca il volo. Non lo vedo più, se n’è dovuto andare a cercare altro, con una miniera di cibo lì così vicina, se solo io…
Se solo io avessi ceduto e non avessi ascoltato le ipotetiche richieste degli sguardi che mi attorniavano, le ipotetiche sciocche fantasie della mia mente che tende sempre a giustificarsi…
Non so saputo agire, mi sono vergognata del mio primitivo impulso di nutrire quell’esserino che cercava solo qualche briciola. E ora chissà quanto dovrà ancora cercare, con questo freddo umido di una stagione che forse non lascia nemmeno semi da beccare nei campi… quanto dovrà ancora cercare?
Il senso di colpa mi assale.
E poi si affaccia alla mente quel ricordo, quella suggestione che non mi lascia in pace: fin da quando ero piccola mi racconto una storia, che non so se a mia volta mi è stata raccontata da qualcuno o se invece è una storia tutta mia. Questa storia dice che in ogni essere vivente potrebbe esserci un nostro parente defunto che viene a cercarci per chiederci una preghiera o un atto d’amore o di carità.
Ombre danzanti (Photo credit: luca.candini)
Convinta di questo per varie cose che sono successe nel corso degli anni (no, non credo alla reincarnazione, è solo un pensiero), convinta di questo ogni volta che una mosca continua a ronzarmi attorno io dico qualche preghiera per le anime del purgatorio o per i miei parenti defunti, e immancabilmente la mosca se ne va.
Idem con uccellini che si avvicinano, gatti che se ne stanno a fissarmi troppo,… esseri viventi insomma che mi stanno attorno pur non avendo con essi confidenza.
Ho pensato che quel povero passerotto, per l’insistenza docile del suo sguardo, potesse essere una mia persona cara mancata da un poco che certamente ha bisogno di aiuto. E ho pregato per lei.
Ma non mi perdono di non averla aiutata cedendo quel poco: era solo una piccola briciola.