6 novembre 2013 Lascia un commento
Intimissima ministoria di Stephen Dorff, giovane divo hollywoodiano che si gode senza troppo strafare i soldi e il successo e nel contempo mantiene un affettuoso rapporto con la figlia interpretata da Elle Fanning.
L’inaspettata partenza della madre, avvicinera’ ulteriormente i due.
Dorff probabilmente recita se stesso. Bel ragazzo, famoso, forse gli manca giusto la figlia e poi potrebbe essere autobiografico. Elle Fanning e’ ancora una volta molto brava, ripongo in lei grandissime speranze.
Storia che piu’ semplice di cosi’ si muore. Ora pur ammettendo che il minimalismo un po’ bucolico sia il suo marchio di fabbrica ma non e’ cosi’, l’ex signorina Coppola sfondato il muro dei quaranta, con alle spalle premi e onori nonche’ il paparone Francis, dovrebbe evolversi un pochino e osare di piu’.
Queste robette per quanto eccellenti sia chiaro, perche’ "Il giardino delle vergini suicide" e "Lost in translation", sono maledettamente buoni, dovrebbero ormai appartenere al passato glorioso e fungere da spartiacque.
Il film s’appoggia totalmente sulla normalita’ di persone che non hanno una vita comune ma non puoi portare avanti per cinque minuti, padre e figlia che giocano con la Wii che se non fossi la Coppola ma il mio vicino di casa, dopo il filmino familiare con la stessa scena, gli avrei gia’ dato fuoco al salotto.
Poi dai, dopo "Marie Antoinette" aveva gia’ preso il via per andare oltre e stilisticamente nonche’ tecnicamente, mi pare un bel passo indietro.
Certi film li fai al tuo esordio da ventenne se aspiri ad un tristissimo festival indipendente mentre sogni di dirigere "Transformer 6" mentre se di anni ne hai il doppio e soldi e fama non ti mancano, mostri il fianco all’insicurezza.
Tolto questo, il film e’ gradevole ma m’e’ restato un leggerissimo senso di ultraviolenza da eccesso di zuccheri.