Magazine Pari Opportunità

Sommerse e salvate

Da Femminileplurale

Se sono una femminista radicale significa che ho una capacità di rivolta morale, interna,

contro tutte le offese alle donne in quanto donne

indipendentemente dalle differenze di razza, classe, eccetera.

Mary Daly

Le donne escono dalle cucine

Foto di Tano D’Amico tratta dal libro “Una storia di donne”, edizioni Intra Moenia 2003, p. 22: “Roma 1976. La prima manifestazione nazionale delle donne”

Siamo convinte che affrontare i conflitti faccia parte della buona politica delle donne. Quindi quello che segue è l’apertura di un conflitto che vorremmo più radicale possibile.

Sabato 9 febbraio siamo andate a Bologna per prendere parte all’incontro nazionale “Donne, vite, politica: cosa cambia?” ospitato dalle donne dell’Associazione Orlando anche su sollecitazione delle donne di Milano. L’argomento su cui eravamo chiamate a discutere erano “dubbi, desideri, riflessioni” suscitati dal fatto che nelle liste elettorali ci sono sempre più donne, alcune tra le quali anche appartenenti al movimento femminista come Maria Luisa Boccia, Ida Dominijanni ed Eleonora Forenza.

Il femminismo è un movimento che si contrappone al modo stesso in cui il mondo è organizzato. In questo compito titanico includere tutte le donne è essenziale. Per rinnovare gli strumenti critici con cui si guarda e si comprende il mondo, per riconoscere le forme in cui le discriminazioni contro le donne si manifestano, per trovare nuovi modi di combatterle innanzitutto (come sempre) in sé stesse e nella relazione tra donne.

A Bologna la modalità di discussione era quella “orizzontale” che aveva caratterizzato anche Paestum: chi desiderava prendere la parola aveva circa 5 minuti per esprimere le proprie idee e opinioni, senza coordinamenti né gerarchie. Nella giornata tutte le donne presenti hanno avuto la possibilità di esprimersi e di essere ascoltate. Ma la presa di parola non è stata davvero orizzontale, davvero inclusiva. Ecco perché.

Nel pomeriggio, poco dopo la ripresa dei lavori, un intervento è stato dedicato per spiegare che il pranzo (a cui era necessario prenotarsi precedentemente) era stato preparato da una associazione formata da donne straniere. L’intervento, di per sé legittimo, si proponeva come un ringraziamento nei confronti di chi si era occupata del catering e fungeva inoltre da rendicontazione sull’uso dei fondi provenienti dall’incontro nazionale. Ma politicamente parlando è stato un fiasco totale. Si è presentato l’elenco sommario delle donne appartenenti all’associazione, suddivise e “riconosciute” solo a partire dalla loro nazionalità: questa modalità non suonava come il riconoscimento dell’individualità di ciascuna, ma piuttosto come un elenco spersonalizzato di nazionalità terzomondiste. Infine si è specificato che le donne straniere “se le si fa cucinare, sono molto brave”. L’intervento è stato avvertito da alcune di noi come discriminatorio. La divisione del lavoro manuale/intellettuale veniva confermata dal linguaggio e soprattutto dal modo in cui è stata posta la “partecipazione” delle donne straniere all’incontro: non presenti in sala ma relegate dietro i fornelli.

Siamo consapevoli del fatto che si tratta di un “razzismo ingenuo”, non voluto. Tutte noi siamo capaci di parole e atti razzisti pur non essendolo.

Tuttavia siamo rimaste più che perplesse dall’episodio, che non ci saremo aspettate in un luogo di donne, in un luogo di pratiche politiche, in un luogo di femminismo.

Molte donne hanno considerato l’episodio più come una fastidiosa interruzione dei lavori che come un’occasione (mancata) di riconoscimento politico fra donne. Mentre ad alcune di noi la presentazione del lavoro dell’associazione è parsa come una narrazione colonialista di soggettività “altre”, quasi fossero “sorelle minori” rispetto a “noi” che stavamo partecipando all’assemblea. Non si sarebbe forse dovuto invitare le donne dell’associazione all’incontro nazionale? È stato fatto? Non abbiamo tutte perso l’occasione di discutere insieme e – se le donne dell’associazione lo avessero desiderato – di ascoltare la loro esperienza e il loro lavoro raccontati di persona? E non per mezzo di una portavoce “bianca”.

La discussione tra alcune di noi fuori dalla sala ci ha così convinte ad interrompere i lavori per un secondo intervento “riparatore” dello scivolone precedente.

Quello che ci ha colpite è come si sia ripetuto qui un forte meccanismo di esclusione che le donne presenti in sala avrebbero dovuto conoscere molto bene, ma che invece non hanno riconosciuto. Forse perché applicato ad “altre”. Quelle stesse donne che quarant’anni fa hanno protestato uscendo di casa, “uscendo dalle cucine” e richiedendo la necessità che altre donne facessero lo stesso, sono rimaste del tutto indifferenti al fatto che oggi altre donne fossero state simbolicamente “relegate” in cucina. Le donne che a Bologna discutevano di rappresentanza, che lamentavano l’invisibilità rispetto agli organi e ai meccanismi della democrazia rappresentativa, hanno dimostrato di non essersi rese conto di quanto altre donne fossero invisibili ai loro occhi in quel momento. Ciò è emerso soprattutto dal brusio scocciato della sala durante il secondo intervento “riparatore”, durante il quale si sono levate voci di protesta contro la (presunta) poca raffinatezza del cibo, la (presunta) poca abbondanza e contro lo stesso intervento avvertito come un’inutile ricerca di “politicamente corretto” (?!).

Dunque questo episodio è stato rivelatore di dinamiche che ci sentiamo di dover mettere in luce.

L’assemblea si è scoperta bianca, quasi tutta “bianca”. Lo era ovviamente anche prima dell’intervento, ma diciamo che forse non ce ne eravamo accorte per bene. Una delle grandi forze del femminismo è stata quella di rivelare come l’universale neutro maschile non fosse né universale né neutro e la sua dimensione internazionale. E ora è necessario non creare altri universali neutri falsi, come quello della femminista italiana e bianca.

Mettendo in luce questo episodio specifico vogliamo non incolpare qualcuna in particolare, anzi, al contrario: vogliamo evidenziare un problema generale del femminismo italiano oggi.

La domanda è: sappiamo quali sono i bisogni delle donne straniere e/o migranti nell’Italia di oggi? Li consideriamo problemi delle “straniere” (quest’insieme indistinto e anche un po’ misterioso) o sono problemi di tutte le donne? Quali sono le ragioni per le quali è difficile fare politica insieme? E come si possono affrontare questi ostacoli?

Dobbiamo smettere di parlare al “loro” posto. Il punto non è fare le “quote non-bianche” ma trovare i modi per lavorare, discutere, lottare insieme. Creare più alleanze.

Infatti qui il problema non era voler correggere una mera formalità, la forma imperfetta di ciò che era stato detto, ma di mettere in luce la sostanza di un discorso dalle innegabili implicazioni politiche, implicazioni politiche per noi comunque molto più rilevanti e stringenti rispetto al problema del rapporto con la rappresentanza parlamentare. Le donne straniere si occupano delle nostre case, della cura dei figli e degli anziani. Non ci mette in una contraddizione tremenda che siano altre donne a sgravare le donne italiane della cura? Quali sono le relazioni più significative per il femminismo? Quale relazione con i partiti e le rappresentanti, e quale con le donne invisibilizzate e perciò irrappresentabili che in quel contesto si sono prese cura di noi?

Non avere colto la significatività politica di questo episodio è un segnale scoraggiante. E lo è soprattutto per il femminismo, come movimento politico e non solo storico, come forza non solo rivolta al passato ma che agisce nel presente e che guarda al futuro. Femminismo che è pratica, innanzitutto. La presa di parola femminista a quali donne si rivolge? Quali relazioni vuole creare e costruire? Se non parla prioritariamente e a tutte le donne, se non considera ciascuna come depositaria di un’uguale legittimità di parola politica, allora è come se non si rivolgesse a nessuna. O ciascuna o nessuna. Un femminismo non inclusivo per noi non è femminismo.

Se rifiutiamo ogni forma di esclusione e di ghettizzazione lo facciamo in quanto ravvisiamo in esse dei palesi meccanismi di riproduzione di una modalità di relazione tipicamente paternalistica (!).Noi ravvisiamo in questi atteggiamenti le stesse logiche con cui il potere (maschile) ha organizzato e strutturato l’esclusione delle donne dalla scena pubblica, dallo spazio delle relazioni politiche, e peggio, una minaccia per il femminismo stesso.

Laura Capuzzo, Danila De Angelis, Ilaria Durigon, Viola Lo Moro, Chiara Melloni


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