Son cose che si dicono

Creato il 16 novembre 2010 da Malvino

foto:flickr

1. Ma davvero Silvio Berlusconi teme che a perdere Palazzo Chigi si ritroverebbe espropriato e in catene? Occorre rammentare ciò che Luciano Violante disse in una memorabile seduta della Camera, il 28 febbraio 2002: “L’onorevole Berlusconi sa per certo che gli è stata data la garanzia piena – non adesso, ma nel 1994, quando ci fu il cambio di governo – che non sarebbero state toccate le sue televisioni. E lo sa. Lo sa lui e l’onorevole Letta. Comunque, a parte questo, la questione è un’altra: voi ci avete accusato di regime – ripeto – nonostante noi non avessimo fatto [alcuna legge su] il conflitto di interessi, nonostante avessimo dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni [delle frequenze televisive], nonostante il fatturato di Mediaset sia aumentato di 25 volte durante il [periodo nel quale ha governato il] centrosinistra”. Con “nemici” del genere dovrebbe dormire tranquillo.
E tranquilli dovrebbero dormire i suoi “nemici” che temono un suo incattivimento da disperato: a un’altra sua vittoria elettorale non sarebbero incarcerati e torturati e forse neanche mandati al confino.  “Voglio vederlo mendicare in piazza del Duomo” (Massimo D’Alema, 1994) e “stavolta non faremo prigionieri” (Cesare Previti, 1996) son cose che si dicono, ma per lo più servono a gasare le proprie tifoserie. Quando la partita è aperta, le metafore della resa dei conti (la guerra civile, il golpe cruento, ecc.) sono usate sforzandosi di dare (più a propri tifosi che a quelli della squadra avversa) l’impressione di crederci: fra quanti conoscono bene le regole non scritte della politica italiana, chi ci crede davvero? Si dice “sangue e merda”, è vero, ma è un’altra metafora: siamo davanti a pezzetti legno che si credono davvero Pedone, Torre, Alfiere, Re...
[Forse devo chiarire. Senza dubbio la partita è tutto – non giochi fidando su ciò che il vincitore ti concederà dopo che hai perso e, anche sapendo che le regole non scritte della politica italiana concedono al perdente condizioni a volte anche molto generose, giochi per vincere, sennò non è politica – dunque devi sforzarti di sentire il sapore del sangue e l’odore della merda (odore, non puzza, perché c’è chi lo trova gradevole). Ma le regole non scritte ti consentono di sentirti garantito fino a un certo punto: tanto garantito da consentirti di pensare di potere osare fino al limite oltre il quale prende il via l’ingovernabile escalation. E a volte il limite è oltrepassato, è vero, ma che abbiamo avuto di cruento in Italia dal 1945 in qua? Tutti i morti della stagione di Mani Pulite non superano quelli sulle strade in tre week end. E dunque vediamo se mi sono chiarito: intendevo dire che si vince e si perde molto, ma mai tutto, e soprattutto non è in gioco la vita. Eventualmente la sua qualità. E questo vale per i giocatori e per i tifosi, è vero, ma soprattutto per i tifosi.]
Il gioco può farsi più umano prendendo coscienza di questo doppio piano in cui “tutto” vuol dire solo “molto”? Per esempio, Angelo Mellone scrive che, “quando si comincia a ritirar fuori, per parlare della nostra condizione politica presente, date cruciali tipo il 25 aprile, il 25 luglio o l’8 settembre, mischiando il grano della tragedia con il loglio di schermaglie dove per fortuna i morti e i feriti sono simulazioni giornalistiche, succede che arriva la confusione” (Il Foglio, 16.11.2010): ha ragione? Senza dubbio, ma è confusione sentita necessaria non solo dai supposti partigiani, ma anche dai supposti repubblichini, che la riprendono e la rilanciano: non è il giornale sul quale scrive che ha parlato della caduta del Cav. come di un 25 luglio?
2. Ma davvero i “nemici” di Berlusconi temono un suo terribile colpo di coda? Davvero pensano che Berlusconi tema di finire appeso a Piazzale Loreto? Tutt’al più ad Antigua, a scoprire finalmente un vero amore per l’Italia. Che è “molto”, ma non “tutto”. Ciò che rende spietati i repubblichini è sapere che per loro è in gioco “tutto”, ma a Salò c’erano solo i fascisti fessi ed esagitati (non a caso era fascismo cosiddetto sociale), che non sapevano che in Italia arriva sempre un’amnistia. Qui una peristalsi sta per rivoluzione, un borborigma è già un tumulto, la purga non è mai radicale: si affrontano i mal di pancia come vittime della storia e l’uscita dalla vita politica a 74 anni viene sentito drammatico come un licenziamento a 45 anni. La stabilità sociale si fonda su una instabilità equamente sostenibile, a prezzo di non buttare via mai niente.
[Forse è il caso di chiarire. In questo continuo rimescolamento di trionfi e batoste, e di pianti e sberleffi, tutto rimane e non cambia mai niente. Il sistema è soggetto a bradisismo, non a terremoto: emerge qui, affonda lì, ma la superficie sulla quale si consumano le guerre civili è sempre lo stessa e su di essa sono radicati i caratteri nazionali, umori e posture che si addensano in fazioni. Ora, “si fa ancora l’errore di considerare il berlusconismo un fatto politico o solo politico, [...] quando invece è un fenomeno sociale, televisivo, calcistico, imprenditoriale, simbolico, radicato nell’immaginario italiano a partire dagli anni Ottanta. [...] La sua componente politica è solo una faccia e, forse, non quella principale. Il Cav. interpreta e trasfigura una tipologia di italiano, una variante diffusa di arcitalianità che nessun ipotetico verdetto elettorale può certo cancellare nello spazio di qualche mese”. E non si può dare torto a Mellone.]
E allora vogliamo spiegarlo bene a Berlusconi che un Violante si trova sempre? Mantieni la calma, Silvio, non osare oltre il limite, evita l’ingovernabile escalation e, come consiglia Giuliano Ferrara, “niente schiamazzi”: si è detto 25 luglio, non Piazzale Loreto, e dopo il 25 luglio c’è ancora un bel pezzo di avventura. E dunque tradimento è parola grossa, anzi “parola losca”: meglio evitarla, può evocare un carattere italiano.


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