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quello che segue è l'abstract di un manoscritto. è un romanzo storico sul quale chi scrive ha praticato un editing finalizzato alla presentazione a un editore: comprereste questo libro? (a me è piaciuto: sa di cavalli murgesi al galoppo, orecchiette fumanti, pomodori spaccati e messi a seccare al sole della polverosa campagna martinese, fanciulle timide ma intraprendenti, sangue sui panni degli uccisi, riunioni di giovani gaudenti martinesi).Manoscritto ancora senza titolo
Martina Franca, 1821: nei pressi della porta del Carmine giace il cadavere del carbonaro M. R., il capo e il busto coperti da un mantello nero. Spetta a don M. M., trentacinquenne medico e botanico appartenente all’opposto partito dei Borboni, identificare e constatare il decesso dell’uomo che aveva ammirato sin da ragazzo come simbolo di coraggio e di spavalderia. Lo stesso M. sarà incaricato dall’intendente di polizia di condurre le indagini sull’omicidio del gentiluomo martinese, il quale si rivela post mortem in tutta la sua ambiguità: il dottore scoprirà infatti che era stato protettore del brigante C. A., ex sacerdote, maestro di canto gregoriano e repubblicano a capo della setta dei Decisi. Amministra una parte delle proprietà di M. R. il suo figlio illegittimo F. P., che ne prosegue l’attività rivoluzionaria e ne ricalca ossessivamente la personalità, giungendo a una identificazione quasi totale con il padre scomparso. A capo di una banda di cospiratori, P. insegue un sogno di potere che travalica l’attività politica. In Puglia vige un’anarchia intrisa di sangue: il confine tra brigantaggio e lotta antiborbonica si definisce a fatica e gli omicidi politici di esponenti delle sette in conflitto si mescolano a delitti comuni, perpetrati per amore o per vendetta. La fitta boscaglia attorno a Martina occulta le attività delle bande; le masserie nella campagna sono nascondigli per le riunioni carbonare, teatro di battaglie tra briganti e autorità costituita e tombe all’aperto perfette per vittime trucidate sotto i cieli stellati delle Murge. Ferdinando I invia in questo Meridione d’Italia dilaniato tra la nostalgia del vecchio e l’impetuoso avanzare di correnti repubblicane il generale Richard Church, a capo della sesta divisione militare in terra d’Otranto, ospitato a palazzo R. e testimone diretto della complessa ambivalenza del carbonaro M., dei suoi rapporti poco limpidi col bandito A. La moglie di R., che al tempo del loro precoce matrimonio lo aveva ammirato come si fa con gli eroi, intrattiene da anni una relazione con G. C., gaudente e scanzonato avvocato repubblicano, amico d’infanzia del borbonico M.. La loro scandalosa vicenda amorosa indurrà più di una volta il dottore a sospettare ora dell’uno ora dell’altra: il movente di C., rivale in amore di M. R., è robusto e capace di far vacillare la fiducia dell’amico. Nel corso dell’indagine si rivelerà fondamentale l’apporto di A., che più di una volta influenzerà decisivamente suo marito con i suoi consigli e le sue intuizioni: la chiave per interpretare la personalità dell’assassino emergerà nelle ultime battute dal dialogo ideale tra i coniugi M. e Giulio Cesare. Un dénouement tuttavia obliquo, poiché il suicidio dell’assassino, e la conseguente impossibilità di verificare i fatti attraverso la sua voce, lascia sulla vicenda lo sgradevole sapore dell’ambivalenza.