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Disney, Pixar e DreamWorks, si sa, imperano nel mondo dell'animazione.
Ma ci sono anche piccoli studi, piccole case produttrici, che ce la fanno: a realizzare film perfetti, ad arrivare a traguardi importanti, ad incantare il pubblico che li scova.
Tra questi c'è sicuramente la Cartoon Saloon, sede a Kilkenny, Irlanda.
Al suo attivo ha solo 4 film, ma uno di questi, l'ultimo, è un gioiellino che non solo ha permesso alla società di farsi conoscere, ma le ha permesso anche la sua prima nominations agli Oscars e soprattutto di lasciare entusiasta chiunque desse anche solo una rapida occhiata a quel gioiellino.
Song of the Sea non ce l'ha fatta però a portarsi a casa l'ambita statuetta, trovandosi a competere con pezzi da 90 come Big Hero 6 e Dragon Trainer 2, ma se la sarebbe meritata, perchè nella sua semplicità, nel suo bidimensionalismo, c'è una magia unica.
Una magia che parte dalle fiabe che ci venivano raccontate per la buonanotte, una magia che si alimenta con le tradizioni locali, con leggende e credenze popolari di un'Irlanda spesso dimenticata.
Ben è cresciuto con i racconti di una madre attenta e protettiva, una madre che gli ha insegnato miti celti, di streghe e fate. Ma quella madre se l'è vista portare via dalla sorellina, nata con apparenti complicanze, che lui ora non riesce ad amare.
Dal giorno della nascita di Saoirse tutto è cambiato: il padre si è fatto burbero, la famiglia si è trasferita a vivere in un faro, la stessa Saoirse si rifiuta di parlare, e arrivato il giorno del suo sesto compleanno, nessuna parola è ancora uscita dalla sua bocca.
Ma qualcosa sta per cambiare, e non solo perchè la nonna in visita decide di prendere con sé i due bambini per cui un faro non è un luogo adatto in cui crescere (ma una caotica città piena di pericoli sì), ma anche perchè Saoirse è chiaramente una bambina speciale, capace di richiamare le fate, capace di nuotare e trasformarsi in foca.
Saoirse è una Selkie, una creatura mitologica, dai poteri speciali, a cui la perfida Macha e i suoi gufi danno la caccia.
L'avventura partirà quindi all'improvviso, con il tentennante Ben che vuole tornare a casa, vuole tornare dal suo cane Cù e fugge da Dublino alla ricerca della via del ritorno, incappando però in stregoni, fate e magie che mettono a repentaglio la sorella.
Ora deve proteggerla, deve aiutarla e finalmente capirla.
Song of the Sea non è solo un romanzo di formazione a piccole tappe, e non è solo una favola adatta ai bambini.Al suo interno ci sono infatti mondi e leggende da esplorare, termini e forze da conoscere, che arricchiscono, e soprattutto incantano.A rendere il film quel gioiellino che è, sono infatti disegni unici, veri pezzi d'arte, che si potrebbe tranquillamente trovare in quei libri illustrati per cui non ci si vergogna dell'età nel comprarli.La mancanza della profondità viene sopperita da colori sgargianti, da scelte particolari di struttura che rendono gli sfondi tele ricche di forza espressiva.I personaggi si muovono su questi mondi reali o magici costruiti con dovizia di particolari, con gli occhi pieni di stupore, incontrando figure così buffe che garantiscono più di una risata. Ad oscurarli, poi, c'è quel cane, quel Cù, che mi ha fatto desiderare seduta stante un cucciolo di Bobtail.Aspettando che questo prima o poi arrivi, mi consolerò guardando e riguardo un gioiellino, arrivato silente dall'Irlanda, accompagnato da canzoni semplici ed efficaci (alla voce Lisa Hannigan), capace di far sognare, di far credere e sperare.Anche solo con un frame.
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