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Sono passati 30 anni

Creato il 23 novembre 2010 da Vidi

Domenica 23 novembre 1980, ore 19,35.

Sono passati 30 anni

Novanta secondi e la mia terra non fu più la stessa.

Quei 90 secondi rasero al suolo le case antiche di paesi simili a presepi sparsi in Appennino ma anche moderne costruzioni in cemento. Quasi 3000 morti in quei paesi dove arrivò prima Pertini che i soccorsi.
"Fate presto" 
La solidarietà fu la prima a rispondere a questo urlo del Mattino; giovani e meno giovani da tutta Italia arrivarono qui, a stringersi ai fratelli, ad aiutare, a piangere insieme.
 Li chiamammo 'angeli del terremoto'.
Un gesto grande, il loro, quello di venire qui affrontando anche il rischio personale.
Q
ualcuno si chiede  se oggi, in tempi di separatismi, verrebbero ancora.
Io credo di sì. 
Ed è  per questa gente che  si va oltre le truffe di tutti i politici che grazie a quella tragedia si arricchirono in maniera ignobile.
Io avevo 23 anni e non capii subito la gravità dell'evento.
Ma chi arrivò già solo pochi giorni dopo lo capì eccome.
E lo raccontò ad un'Italia che nemmeno sapeva come qui da me l'inverno potesse essere freddo come al nord.
Fra le tante, ho scelto le parole di Alberto Moravia e un estratto del suo articolo 'Ho visto morire il sud', uscito sull'Espresso il 7 dicembre 1980.
Dedicato a chi non è stato fortunato come me, che sono qui a raccontare quei giorni.

Sono passati 30 anni
Alberto Moravia - HO VISTO MORIRE IL SUD

IRPINIA. L’elicottero è un mezzo noioso, si sta sospesi sul paesaggio come da un balcone semovente; ma è certamente un mezzo istruttivo. Dall’elicottero mentre voliamo verso l’Irpinia sconvolta dal terremoto, si può vedere quanto fitto e quanto delicato, appunto perché fitto, sia il tessuto di rapporti umani, sociali, economici e
 storici della nostra antica e disgraziata patria.

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Sono passati 30 anni
In cima alla montagna, però, in luogo del solito giuoco di domino ordinato e intatto delle case di un paese, vedo come un’accozzaglia di nidi di vespa sfranti e sfondati, un grigio di polvere disciolta tra il quale emergono intelaiature in disordine dello stesso colore grigio polveroso. Guardo e cerco di capire, di riflettere; e ad un tratto la verità brutale ristabilisce il rapporto tra me e la realtà. Quei nidi di vespe sfondati sono case, abitazioni, o meglio lo erano; adesso sono macerie e sotto quelle macerie stanno sepolti gli abitanti, altrettanto invisibili che i morti di quel cimitero che vedo laggiù, con il suo recinto, e le sue file di tombe, i suoi cipressi.

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Sono passati 30 anni
 “Qui nessuno ci aiuta, siamo abbandonati da Dio e dagli uomini, i Tedeschi, che sono Tedeschi, sono arrivati prima dei Salernitani; sulle strade fermano le ruspe per far passare le macchine delle autorità; ci vogliono delle gru per tirar fuori i sepolti vivi ed invece ci mandano dei centri di rianimazione che per ora non servono a niente; in quei bar laggiù giocavano a biliardo, a carte, bevevano, chiacchieravano: tutti morti, settanta, ottanta; qui eravamo seimila, adesso siamo duemilacinquecento: gli altri o morti o sotterrati vivi; le quattro chiese: crollate; il municipio: crollato; la farmacia: crollata”. E il sindaco dov’è? “Il sindaco è morto”.

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Sono passati 30 anni

 Colui che risponde seccamente che il Sindaco è morto, poco dopo dice, facendo un gesto espressivo con la mano: “Adesso si vede chi ha rubato. L’ospedale nuovo, inaugurato l’altr’anno, è crollato, i malati sono morti, gli infermieri sono morti, i medici sono morti. E perché sono morti? Perché c’è stato chi ha rubato sul cemento come il negoziante disonesto ruba sul peso”.

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Sono passati 30 anni
“Ce ne sono tanti sotto terra che sono vivi come noi qui fuori, ma ancora per poco. Si lamentano, chiamano e poi, alla fine, non dicono più niente”.

I sepolti vivi! E’ uno degli incubi dell’umanità, uno dei più terrificanti e sentiti, forse perché adombra il ritorno non voluto né previsto al ventre materno non più donatore di vita ma di morte, non più di luce ma di tenebre.

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Più tardi, mentre torniamo verso l’elicottero mi viene fatto

Sono passati 30 anni
di pensare: ecco, domenica scorsa alle sette e mezzo il fremito e il boato del terremoto hanno percorso questa regione, distruggendo, in un attimo sterminatamente lungo, intere comunità. Poco dopo, i telefoni e tutti gli altri mezzi di comunicazione erano bloccati; ma non tutti gli abitanti erano morti, e tra i vivi ci fu certamente qualcuno che aveva una macchina non distrutta e che si precipitò ad Avellino, a Salerno, a Napoli, a tutti i luoghi assai vicini. Si precipitò, annunciò, descrisse, chiese aiuti. Eppure, gli aiuti non vennero in tempo.


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COMMENTI (1)

Da  Rocco Carbonaro A Shanghai
Inviato il 24 novembre a 15:33
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Grazie, molto toccante.

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