I fatti di razzismo di Torino, contro il campo nomadi, riportano inevitabilmente ad un parallelismo con quelli di Ponticelli (Na). Quelli di Firenze riaffermano, se mai ce ne fosse bisogno, il profondo razzismo di questo paese. In soli due giorni ancora una volta la sintesi di anni e anni di xenofobia coltivata e sopportata anche nel dibattito politico, dove si è preferito girarsi dall’altra parte piuttosto che vedere. Restano due persone, giovani, morte sulla strada, ammazzate come cani, cose da mafia o da nazifascismo. Cose che accadono nell’Italia di un fine dicembre 2011. Ma non c’è da chinare la testa nascondendola tra le mani in un cenno di disperata rassegnazione. C’è da indignarsi, anzi da arrabbiarsi, se si ha a cuore questo paese. C’è da chiedersi perché solo oggi si vanno a colpire quelli che diffondono certe idee, solo dopo il sangue, come sempre in questo paese. C’è da chiedersi perché tutti sanno sempre tutto e non fanno mai niente. C’è da chiedersi perché oggi sono tutti antirazzisti ma ieri chi lo sa e domani staremo a vedere. Perché il razzismo non è solo nell’atto estremo ed efferato, il razzismo è nell’ignoranza, nella paura, nei gesti inconsci e assimilati alla normalità di tutti i giorni. Il razzismo è anche “cultura”, l’unica che non subisce tagli nel nostro paese. Hessel dice che bisogna trovare un motivo per indignarsi, per reagire e riaffermare il senso civile, che l’indifferenza è il peggiore dei mali a cui possiamo essere condannati. Ma l’indigniazione, aggiungo io, non è una montagna russa, dove la motivazione ci assale nel picco più alto e adrenalinico, per poi abbandonarci subito dopo come l’acqua che scompare nello scolo. E’ una zona da presidiare, costantemente. C’è da chiedersi allora se fra una settimana o più ci ricorderemo che a Firenze sono stati morti due ragazzi, Diop Mor e Samb Modou.
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