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Sono Tornata Libera! Come? Dicendo La Verità

Creato il 21 aprile 2015 da Sunday @EliSundayAnne

Non avevo chiuso occhio tutta la notte. Il cuore che batteva, la testa che friggeva. Sapete quando vi addormentate alle dieci e poi vi svegliate di soprassalto pensando siano già le sei del mattino, e invece sono solo le undici? Ecco. La notte prima di chiedere questa aspettativa – l’ultima – è trascorsa così. Con pensieri e sensi di colpa quando mi giravo dal lato del letto che dà sulla porta, e il desiderio di ripartire e fare la mia vita quando mi giravo dal lato finestra.

Perché, come scrisse Erasmo, “Non ha importanza quanto la ragione gridi le sue regole per la buona condotta; la passione grida sempre più forte”. E quando stai per spezzare le sbarre, sfido chiunque a non avere il cuore che batte come mille cuori che battono.

cambiare vita anno sabbatico

Ormai avevo deciso: se il Dirigente Scolastico non mi avesse concesso questi ultimi dieci mesi di aspettativa che mi spettano, avrei lasciato la scuola per sempre a cominciare da settembre.

Perché non farlo subito? direte voi. Per un unico motivo: dopo i tre infarti subiti da mio papà lo scorso anno mentre vivevo all’estero, non me la sento di dargli ora questo colpo, su una cosa a cui lui tiene come fosse un forziere d’oro: il posto fisso. Preferisco farlo quando avrò un’altra professione in mano per farlo stare più tranquillo.

“Ma non sarà mai tranquillo!”, mi ha gridato la mia Santa Sorella, Santa perché ha (quasi) sempre ragione. “Non sarà mai felice che lasci questo lavoro a tempo indeterminato, quindi perché tirarla per le lunghe? Ogni volta che torni spacchi i maroni a tutti che devi ripartire, che non ce la fai più a stare a scuola, e allora taglia con sto supplizio e PARTI!”.

[Le sorelle maggiori sono nate per farsi spaccare i maroni a vita, ma non lo sanno]

E’ che quest’anno che sono tornata a casa l’ho visto così felice, che non voglio rovinare la sua felicità. Quando senti che tuo papà è stato lì per morire, ecco, non te la senti più. E allora la tiri per le lunghe e soffri tu. Sapendo che tanto, per fare quel passo, è solo questione di mesi.

“Vorrei prendere un appuntamento con il Dirigente”. “Aspetta che gli chiediamo…” (…) “Ha detto che va bene per martedì mattina alle 9.30″.

E così, la sera prima di andare a parlare al Dirigente, ho preparato la mia lettera di richiesta di aspettativa, tremando perché temevo mi dicesse di no, che fosse di luna storta, che avesse appena litigato con qualcuno, che mi avesse accolta dicendo “Ma lei è di nuovo qua con sta lettera in mano?”.

Va bene che sono una ritardataria cronica – e senza speranze – ma possibile che anche il giorno dell’appuntamento col dirigente sono arrivata in ritardo? Sì, è possibile: credo arriverei in ritardo anche a un appuntamento con il Papa.

E così eccomi qui, con il mio foglio in mano dentro una busta di plastica trasparente, la sacca dei libri penzolante da un lato e la mia borsa dall’altro.

Entro e gli stringo la mano: “Buongiorno!”.

“Buongiorno! Sputi il rospo”.

“Come?”

“Sputi il rospo.”

“Come fa a saperlo, che devo sputare un rospo?”

“Non ha una bella cera, sa? Ha proprio la faccia di una che deve sputare un rospo”.

“Ehm… ecco… allora lo sputo. Non ho dormito tutta la notte perché sapevo di doverle venire a parlare. E ho deciso di farlo dicendole tutta la verità. Quest’anno sono stata felice di rientrare, ho passato un anno scolastico bellissimo con i bambini, poi lei sa che io adoro insegnare inglese, fare teatrino, la pagliaccia, cantare, spiegare. E’ solo che mi ero accorta che non mi alzavo più felice al mattino. Mi alzavo di buonumore, scrivevo, facevo le mie cose tranquilla e felice, ma quando mi mettevo in macchina per venire a scuola, non sorridevo più. C’è stata una mattina d’inverno in cui la macchina pareva andasse avanti da sola, e ad un certo punto ho visto un trattore in un campo e la natura e tutto, e mi è venuta voglia di mollare la macchina sul ciglio della strada, correre per i prati e scappare via.

Mi manca il sole. Mi manca lavorare all’aria aperta. Mi manca viaggiare, conoscere, scoprire. Mi manca scrivere mentre sono su un autobus che in otto-nove ore mi porterà da Bangkok al sud della Thailandia.

Quando entrai di ruolo nel 2007, ero un’altra persona. Questo lavoro mi piaceva, ero felice. Ma oggi non sono più quella di allora. Ho viaggiato, ho visto tante cose, ho fatto tante esperienze. Quest’anno ho compiuto un viaggio interiore profondo in cui ho capito tante cose di me. E’ stato difficile, ho sofferto, e ho capito.

Una volta sperimentata la felicità, non si può più tornare indietro.

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E io la felicità, quella vera, l’ho provata quando facevo volontariato in Cambogia. Avrei potuto morire, mentre ero là in quella missione, e non mi importava, perché ero dove volevo essere, a fare ciò che volevo fare.

Per questo le chiedo di concedermi il mio ultimo anno di aspettativa. Se non mi licenzio ancora lo faccio per mio padre che non è stato bene. Se vorrà concedermelo, gliene sarei profondamente grata.”

“Non avrei motivi per cui non concedergliela. Mi prepari la domanda di aspettativa per tempo, però, che la scorsa volta me l’aveva consegnata in ritardo e mi aveva fatto penare!”

“Eccola.”

“L’ha già fatta?”

“Sì”.

“Allora immagino che ora andrà subito a fare il biglietto aereo.”

“Veramente l’ho già fatto a dicembre”.

Siamo scoppiati a ridere.

“Ora vada, che ha anche ripreso colore.”

Il metodo migliore per farsi capire nel profondo è dire la verità, mettersi a nudo, anche a costo di apparire ridicoli.

 

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La sincerità paga. Sempre.

E ora via, a luglio si riparte.

Prima tappa: l’India.

Dopo: sono in mano al destino.

Ma prima devo dirlo a mio padre.


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