sono una wedding planner in crisi d’identità

Creato il 31 gennaio 2015 da Annachiatto @AnnaChiatto
31 gennaio 2015

Cosa vuoi fare da grande? Se ci dessero una monetina per tutte le volte che ce lo sentiamo chiedere potremmo sanare il debito pubblico. Ecco come è cambiata la risposta nel corso della mia vita fino a oggi.

In prima elementare volevo fare la maestra: il mio super eroe era la mia insegnante, volevo essere dolce e autoritaria come lei, e riuscire a parlare di addizioni risultando comunque simpatica anche se odiavo la matematica. Ebbi poi una brevissima carriera come atleta di ginnastica artistica due volte a settimana, e ballerina classica gli altri tre giorni. Fu allora che capii che potevo essere tutto, tranne qualcuno che avrebbe avuto a che fare con lo sport. A otto anni venni scelta come protagonista della recita scolastica, e pensai che il mio destino era scritto: avrei fatto l’attrice. E mi sarei sposata con Antonio, il bambino della 3B più bello della scuola che recitava con me. Quando facevo il primo anno delle medie suonavo il pianoforte, e frequentavo la sezione sperimentale di musica: non c’era alcun dubbio al riguardo del mio futuro: diploma di conservatorio, assunzione al teatro San Carlo di Napoli, e conseguentemente un’esistenza squattrinata da musicista. Alle superiori, al terzo anno consecutivo di candidatura a rappresentante d’istituto  avevo l’assoluta convinzione che da grande sarei diventata il primo capo di stato donna. Ero sicura e determinata a diventare una psicologa all’ Università, poi il mio miglior amico dell’epoca mi propose di partire e lavorare per la stagione estiva come animatrice turistica. Abbandonai l’affascinate mistero della mente umana per quella che mi sembrava un’offerta da non poter rifiutare: essere pagata per divertirmi, conoscere tante persone e andare dove non ero mai stata prima. Seguirono numerosi anni in giro per il mondo.

A venticinque avevo un ristorante in Spagna con mio fratello, che nel frattempo era diventato uno Chef. Dopo non molto mi resi conto che quello era il suo sogno, non il mio. Io, non avevo ancora capito cosa avrei fatto o chi sarei diventata. A ventisette anni, rifeci la valigia, riempendola di speranze: tornavo in Italia dopo tanto tempo, e per la prima volta avevo riempito anche gli spazi vuoti di un curriculum. Cosa avrei fatto? In cosa ero brava? Sapevo solo che, avevo senso dell’organizzazione, potevo relazionarmi con chiunque senza mai perdere la pazienza, ero capace di gestire l’ansia, soprattutto quella non mia, e non mi facevo intimorire facilmente. A questo punto della storia la luce, la chiamata, l’illuminazione. Una professione richiedeva questi requisiti, e io ce li avevo tutti: sarei stata una WEDDING PLANNER. (Saltiamo la parte dei sacrifici, gli incontri giusti e quelli sbagliati, la crisi economica, e passiamo direttamente a quella divertente). Avevo trovato la mia identità, il mio chakra, e potevo scrivere una professione sulla carta d’identità. Fino a quando non decido di raccontare in un libro tutto quello che succede ai matrimoni. Lo so che a questo punto Enzo Miccio e compagni avevano già detto quasi detto. Tralasciando però quello che succede prima, e non parlo di preparativi, parlo del prima. Del momento in cui decidi Sì, mi sposo anch’io.

Interruzione pubblicitaria: il mio romanzo esce il prossimo Aprile. Vi terrò aggiornati.

Oggi sono un’organizzatrice di matrimoni, perché dopo averne organizzati cinquantatré puoi definirti tale; una scrittrice, perché se ti pubblicano un libro ti definiscono tale; una blogger, perché state leggete questo post; e potrei essere nei prossimi mesi anche qualcos’altro.

Cosa voglio fare da grande? La domanda mi mette a giorni alterni in crisi, se si tratta di fare. Se invece si tratta di essere ho le idee chiare: voglio essere qualcuno che fa cosa lo rende felice! Ogni giorno. E cambiarla quando non mi fa più sorridere: è il lavoro più difficile (e gratificante) che abbia mai fatto.


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