I Monologhi di Sana – Rubrica
E folle notte,
che scorre,
nella bugia s’arretra
il mio sguardo di gelo.
Ma tutto ha un sapore
di ricordi troppo vicini,
ancora pregni, di sangue e lacrime.
Ma la luna
d’argento
si è riflessa in specchio
di notte fiorita.
E il cuore mi si è aperto,
spalancato come un portone
battuto dal vento.
Ma la paura è soffocante
come la condensa,
gocciola annoiata sui vetri della stanza
mentre lo sguardo corre
e ogni tanto balza
oltre il confine
che gli ho dato,
oltre il confine delle tue mani di neve
che con nostalgia mi ostino a fissare.
E i tuoi occhi di bosco scuro,
li sorprendo a fissarmi,
a incrociarsi coi miei,
che disobbedienti s’alzano a sfiorarti,
reverenti,
grigi di nebbia.
Li sento pungermi la testa
mentre rivolgo sorrisi meccanici.
Chiamano come l’alba le allodole.
Chiamano con insistenza.
E il cuore trema.
Lo sento già fuggire dai propositi,
scivolare di nuovo
nelle tue mani di ragazzino curioso.
No! No! No!
Ma in un secondo la notte ha di nuovo un sapore di miele
e sorrido nel mio angolo.
Ogni rabbia,
ogni rabbia è sparita
perché il sorriso che mi rivolgi
è come l’alba che irrompe prepotente.
E afferro per la coda l’ultimo dolore
che tenta malandrino di dileguarsi.
Perché il tuo sorriso
scaccia sempre tutte le ombre della notte.
Ma l’ombra non ha più sostanza.
Mi muore il cuore di note
e gli occhi mi implorano ancora
perché di quel sorriso non sono mai sazi.
Perché quel sorriso te l’ha dipinto sul viso la Vita stessa.
Ed è pregno di gioia, di voglia, d’amore e tenerezze,
è pregno di pianto e solitudine,
di desiderio e rancore.
Perché da solo porta con sé
parole che non so pronunciare.
Alisei caldi e monsoni carichi di piogge.
Ma io, sono figlia di Maestrale e Tramontana;
sono un prole di gelo e tempesta…
…ma vicino al tuo sorriso
mi fiorisce il cuore di viole.
