Sospesi a Cinquestelle

Creato il 26 marzo 2014 da Lundici @lundici_it

Il “Non ci fermate Tour” fa tappa a Bologna


La cronaca è questa: il 29 gennaio 2014 il Parlamento approva la conversione in legge del contestatissimo Dl “Imu-Bankitalia”. A causa dei numerosi emendamenti presentati, la Presidente della Camera Laura Boldrini decide di applicare la cosiddetta “Ghigliottina”, una norma mai utilizzata dal Parlamento che permette la discrezionalità nel taglio degli interventi delle opposizioni. Apriti cielo: Cinquestelle e Sel si scatenano, il PD canta “Bella ciao!”, il questore Dambruoso (SC) rifila una manata ad una parlamentare grillina che con i suoi colleghi in segno di protesta sta tentando di occupare pacificamente i banchi del Governo.
Risultato: vengono fatti dei colloqui e la Presidenza della Camera decide di sospendere un po’ tutti, dal questore violento (15 giorni, mai successo nella storia della Repubblica) ai 26 deputati del M5S, per i fatti del 29 gennaio e per l’occupazione della Commissione Affari Costituzionali durante la discussione della Legge Elettorale.

I deputati 5S hanno così deciso di organizzare il “Non ci fermate Tour”, per spiegare agli elettori le ragioni del loro gesto.  Mercoledì 19 marzo il Tour ha fatto tappa a Bologna, al Circolo Mazzini in via Emilia Levante, e così ho deciso di travestirmi da grillino e di andare a sentire che aria tira da quelle parti.

Ore 21. A causa di una cena a base di frittura e Verdicchio arrivo che la sala Mazzini è già gremita ed il dibattito è cominciato. Ci viene detto che possiamo ascoltare dalla saletta laterale, dove hanno messo delle casse per chi è rimasto fuori. Sgattaiolando per un passaggio laterale mi intrufolo nella sala grande anche se non si potrebbe, come mi intima più volte un corpulento attivista con tanto di pettorina. Sul palco improvvisato stanno parlando Marco Piazza e Max Bugani, consiglieri comunali del Comune. La scenografia è spoglia, solo due bandiere del movimento ai lati degli oratori, nessuna sedia, nessun tavolo. Però tanti portatili, molti fotografi e pure la telecamera della RAI. L’armamentario del loro intervento è tipico pentastellato: Piazza ci dice che “il PIL non fa la felicità”, che “siamo in guerra, come dice Beppe sul blog”, perché “di là raccontano solo cazzate, aiutati dalla stampa amica”. Piazza attacca e Bugani commenta, in un tipico meccanismo da avanspettacolo che diverte la platea e coglie il punto.

Alle 21:30 arriva il camper con i parlamentari. Me li vedo sfilare accanto tra gli applausi della gente e gli affondi di Piazza (“non si può mischiare la merda con la cioccolata, il TAV con i soldi ai terremotati e l’IMU con Bankitalia”). Ce n’è per tutti, anche per i giornalisti: ne basterebbero due seri, incalza, non come Formigli o Vespa o Floris. “E Il Fatto?”, urla qualcuno. Piazza tentenna: si, va bene, ma anche lì ogni tanto qualche cantonata la prendono.

Intanto i Parlamentari si sono sistemati in fila sul palco l’uno accanto all’altro, come da tipico comizio pentastellato.

La prima a parlare è la giovane Laura Castelli della Commissione Bilancio, e ci tiene subito a precisare che si è sentita male a vedere la sede della Unipol dall’autostrada.

Si mette a spiegare i motivi dell’espulsione, e del perché a loro nessuno li può comprare come si faceva un tempo. Quando accenna a “Laura” (Boldrini) parte qualche timido “Buu!” che non viene incoraggiato. Bologna non è più una città di sinistra (e giù applausi e cenni di assenso). Ci tiene a precisare soprattutto un concetto: che la loro sospensione è un danno per tutti i cittadini. E come mai? Prima di tutto perché dal mancato taglio delle loro diarie che non percepiranno nei giorni d’espulsione deriverà un mancato gettito nel fondo per le piccole e medie imprese che tutti i Parlamentari hanno costituito. E poi perché potrebbero mancare dei loro voti decisivi su questioni importanti, come sull’emendamento per gli aiuti alla Sardegna che non è passato per 20 voti a causa della spaccatura nel PD.

Già, il PD. Chi non condivide quello che sta scritto sul programma del PD?, chiede Laura. Il problema è che non realizzano quello che promettono, a differenza di ciò che stiamo tentando di fare noi. “Siete credibili, siete coerenti!”, urla commosso qualcuno accanto a me. La chiusa è governativa: cosa potrà mai fare il presidente di Legacoop Giuliano Poletti appena diventato ministro se non aiutare le cooperative rosse che governava fino a poco tempo fa?

Il secondo a parlare è Massimo Baroni, Commissione Affari Sociali e Sanità. È un timido che non ama parlare in pubblico ma una cosa la vuole dire, e l’argomento è il gioco d’azzardo. Ritorna così sull’affare della multa monstre da 98 miliardi commissionata nel 2008 alle dieci società più importanti di questo business e che dopo vari passaggi è stata ridotta a 600 milioni.

Le forze politiche sono ricattate, ed alcuni sono addirittura controllati dai servizi segreti deviati. Come quel deputato del PD che nei giorni concitati del 29 gennaio gli avrebbe confessato: “Ma sai che cazzo me ne frega a me, io sono stato mandato qua dalla mafia”.

Dopo Baroni è il turno di Ivan Della Valle. Anche lui emozionatissimo, ciondola da un piede all’altro ma ci tiene a parlare della Val Di Susa, e dei presunti affari che legherebbero il PD, un tempo contrario al TAV, alla CMC, la Cooperativa Cementisti e Muratori di Ravenna, un colosso del settore e con più di un piede nell’ambizioso progetto italo-francese. Nei Comuni della Valle dove il PD si è alleato con il PDL ha sempre perso, e così succederà nel Paese: vinceremo noi, chiosa, dita al cielo e giù di nuovo applausi.

Simone Valente ha 27 anni, la sua famiglia viene da Stella S. Giovanni, il Paese di Pertini, e già per questo sente di non appartenere a questo sistema. Mostra alla platea un libretto: è il Codice di Comportamento Parlamentare della Camera dei Deputati, la loro Bibbia. Grazie al rispetto ed allo studio di quello è stato possibile iniziare ad incalzarli sui decreti d’urgenza.

“Perché loro sono anziani, e non riescono a sopportare di stare in Aula ore ed ore”. Sfida chiunque a trovare la norma della ghigliottina nel regolamento e si concede un siparietto con la platea, quando afferma che almeno il finanziamento pubblico ai partiti è stato abolito. Il pubblico intona un “No!”, e lui li blandisce: “Bravi, si vede che siete cittadini informati”.

Alle 21: 58 finalmente arrivano i pezzi grossi, Alessandro Di Battista e Giogio Sorial, il parlamentare che dette del “boia” al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e che per questo è sotto inchiesta.

Gli applausi adesso sono tutti per loro. Di Battista saltella e con le dita fa il segno della V, ormai diventato un must del Movimento. Abbraccia un po’ tutti e subito col tablet scatta una foto che pubblica sul suo profilo FB.

Intanto è il turno di Silvia Benedetti, padovana, in Commissione Agricultura, e di Matteo Mantero, in Commissione Affari Sociali. Si parla della centrale a carbone di Savona, in quota Sogenia, delle centraline di controllo sotto ai comignoli invece che sopra, e si spara ancora e sempre sul PD e sui sottosegretari indagati, con il caso della Barracciu che tiene ancora banco.

Poi arriva il turno di Alessandro Di Battista, insieme a Di Maio e a Sorial l’attivista mediaticamente più esposto del momento. La platea lo accoglie in maniera sobria, come ha fatto con tutti gli altri Parlamentari, anzi, con tutti gli altri cittadini. Di Battista prende il centro, il microfono, si mette l’altra mano in tasca e comincia a parlare. Dimenticatevi il Di Battista invadente che impedisce a Speranza di fare la sua conferenza stampa. Dimenticatevi i toni accesi, i cartelli, le urla scomposte, dimenticatevi tutto quello che bene o male siete abituati ad associare al Movimento 5 Stelle.

Perché per onestà intellettuale questo va detto: agli Attivisti è stato rimproverato più volte di essere politicamente inesperti ed acerbi, troppo giovani (Laura Boldrini spesso li apostrofa come “ragazzi”), poco rispettosi delle regole e dei regolamenti. E’ il primo incontro dei Cinquestelle che frequento, e mi aspettavo clima e toni molto più accesi ed ammiccanti al populismo. Ed invece Di Battista si presenta con una tranquillità disarmante. Racconta del momento in cui è stato a colloquio con la Presidente della Camera (“che non è la nostra presidente”, ci tiene a sottolineare), e precisa che non ha impedito a Speranza di parlare, ma piuttosto di mentire, e visto che Speranza quando parla mente, e lo sa lui stesso, lo stesso Speranza ha preferito non parlare per non mentire (qualcuno ride e lui aggiunge “perché, le supercazzole le può dire solo Renzi?”). Confessa che i primi mesi di lavoro sono stati complessi. Era difficile parlare davanti alle telecamere per chi non lo aveva mai fatto, però si impara, tutto si impara. E sembra proprio rivolgersi alla platea di militanti, tra i quali possono esserci i futuri parlamentari, presidenti del consiglio e, perché no, anche presidenti della Repubblica. Perché la regola dei due mandati e poi a casa a noi ci salva la vita, spiega. Ci impedisce di abituarci all’opulenza, alla ricchezza.

“Nessuno più ci accusa di inesperienza, fateci caso. Ci dicono di tutto (fascisti, potenziali stupratori) ma non più inesperti”. Dipinge un Civati nervosissimo, che fuma sigarette alle 8 del mattino nella buvette, parla al plurale e sembra sempre più Renato Pozzetto ne “Il ragazzo di campagna” quando annuncia di avere interessanti prospettive per il futuro. Il male dell’Italia è l’ipocrisia, dice. Io ho votato a sinistra e capisco quanto sia difficile uscirne e capire come stanno veramente le cose. Racconta che in Commissione è andata a trovarli Fiorella Mannoia, da sempre pasionaria della sinistra, ma che alle ultime elezioni ha votato il Movimento pur non condividendone a fondo certi aspetti perché “bisogna smetterla di ragionare per concetti precostituiti”. E’ bello andare oltre, sorride Di Battista, e questo non lo capiscono neanche i giornali che non hanno scritto una riga su questo incontro. In questo sembra di sentire il Beppe Grillo che dialoga con gli attivisti di CasaPound e che fece scalpore tra le file stesse del Movimento.

Continua: “Magari se vinceremo le elezioni i giornali scriveranno “Tutti i partiti perdono” invece che ammettere la nostra vittoria. E se così fosse”, chiosa abbassando il tono di voce, “se il Movimento diventa il primo partito in Italia, noi chiederemo a Napolitano di sciogliere le Camere, e se non lo farà chiederemo a voi di scendere a Roma e pacificamente - lo ripete, pacificamente - di circondare il parlamento”.
Scatta l’applauso che sottolinea il passaggio del testimone a Giorgio Sorial, un altro dei volti televisivi del Movimento. Anche lui in Commissione Bilancio, chiede al pubblico riunito di intonare la vera canzone che avrebbero dovuto cantare i deputati PD quel 29 gennaio al posto di Bella Ciao. La musica la conoscete, le parole fanno così: “ Se lui svende la nostra banca, o bella Ciao, bella Ciao, bella Ciao, ciao, ciao, se lui svende la nostra banca non lo devi rivotar”. Qualcuno canta, qualcuno si guarda intorno imbarazzato, non tutti sembrano ancora pronti per “profanare” un inno sacro della sinistra italiana. Anche Sorial va giù pesante, quando accusa Matteo Renzi di scambio di voto mafioso per aver promesso gli 80 euro di aumento in busta paga per chi guadagna meno di 1500 euro ma solo dal 27 maggio, e cioè dopo le elezioni europee. Fa le pulci al PD sulle espulsioni e cita i casi di Valentina Spada, estromessa dal PD siciliano per essersi rifiutata di appoggiare un candidato vicino a Totò Cuffaro, della senatrice Angelica Saggese, del deputato Guglielmo Vaccaro e del segretario dei Giovani Democratici Vincenzo Pedace, esplusi dai vertici salernitani del PD per aver occupato la sede provinciale del partito come risposta ai presunti brogli delle primarie

L’intervento di Sorias si chiude con un grande applauso e per me è giunto il momento di andare. Mi perdo l’ultimo deputato, Vittorio Ferraresi, che candidamente sento ammettere: dopo questi due qua, che altro devo dirvi io?

Sono le 23 ed il bar è gremito, così come la sala. Accanto alla casse, seduti sulle sedie marchiate PDS molte persone ascoltano assorte, stanche ma risolute. Quello che gira intorno al Movimento è ancora un magma in definizione. Intanto Beppe Grillo concede la prima intervista pubblica ad Enrico Mentana ed i suoi cominciano a farsi le ossa in tv e nel Parlamento. Come dice Di Battista nessuno li definisce più inesperti. E fanno paura a molti, perché oltre alla giornaliera attività nell’Emiciclo questo è il primo movimento d’opposizione nel nostro Paese dai tempi del PCI che rischia di andare al Governo, ed il PCI diventò maggioranza nel Paese proprio nelle elezioni europee del 1984 sorpassando la DC. Altri tempi, la morte di Berlinguer era fresca e il partito comunista più importante d’Europa sfiorò il 34%, mentre per il M5S sarebbe già un successo confermare il dato del 25% delle ultime politiche. Si sa che le elezioni europee sono un banco di prova durissimo per i partiti tradizionali, ed è per questo che Renzi si gioca il tutto per tutto con una esposizione mediatica massacrante, perché sa che una vittoria del Movimento metterebbe in serio pericolo la sua pericolosa maggioranza. Comunque, Di Battista è già il candidato premier in pectore, e nonostante la scarsa presenza sui media il Movimento cattura ancora consensi e sembra in crescita di consapevolezza. Sicuramente c’è ancora una piattaforma programmatica debole e poco valorizzata, dove gli intenti del Movimento faticano a trovare una espressione chiara e precisa al netto del populismo necessario (secondo lo scopo che si prefiggono i 5S) a raccogliere consensi ed eliminare così i partiti da quelle posizioni egemoni che ricoprono da più di 50 anni.

Matteo Renzi e Beppe Grillo incarnano entrambi il superamento delle ideologie, un processo che dalla caduta del Muro di Berlino è diventato sempre più evidente ed inarrestabile. Non li dividono tanto i contenuti ma piuttosto l’apparato che hanno alle spalle, i loro eserciti: Beppe Grillo ha creato dal nulla una struttura nuova, inedita, che si affida a metodiche ancora mai sperimentate e che per questo pagano dazio all’inesperienza. Matteo Renzi, il cattolico che è riuscito a far entrare il PD nel PSE, vuole esportare la sua rivoluzione operando in un partito che per tradizione, storia e dirigenti ancora attivi ha una continuità che dura da almeno 50 anni. Per entrambi vale il discorso che Destra e Sinistra come siamo sempre stati abituati ad intenderli diventano due concetti ideologici opinabili, il tutto mentre si celebrano i 20 anni della morte di Enrico Berlinguer e si cerca di capire dove sia finita la sua pesantissima eredità.

P.S: nessuno ha mai nominato Gianroberto Casaleggio, l’esperto di comunicazione che sta dietro a Beppe Grillo. Me ne sono stupito anche io: segno di assuefazione o sintomo di emancipazione? Non saprei dire, so solo che all’uscita dalla sala del meeting mi sono imbattuto in questo cartello.


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