Pereira è semplicemente e solo Pereira per tutti: per il direttore del “Lisboa” (prestigioso giornale di cui cura la sezione culturale), per la portinaia, per Monteiro Rossi, stravagante giovane incontrato per caso, per il dott. Cardoso. Grassoccio, sagace bevitore di limonate e mangiatore di frittate alle erbe, vedovo, ma fortemente attaccato al ricordo della moglie col cui ritratto dialoga sempre a fine giornata.
Ha fatto per trent’anni il cronista, ma la politica non gl’interessa. È un giornalista atipico: apprende le notizie da Manuel, il proprietario del bar che è solito frequentare e sembra essere “fuori dal mondo”. Nella Lisbona del 1938, Pereira non assurge a prototipo dell’uomo di cultura impregnato di impegno civile, anzi ne resta volutamente distaccato. Mi ha colpito l’ossessione del protagonista per la morte. Pereira assume a sue spese il giovane Monteiro Rossi, ritenendolo un intenditore dell’argomento; effettivamente è il tema della sua tesi di laurea, ma non si rivelerà all’altezza delle aspettative. Scrive necrologi impubblicabili, si è ficcato nei pasticci e sa di poter contare solo sul sig. Pereira, con cui è in contatto attraverso la spigliata Marta, la sua ragazza.
A questioni dell’anima si intrecciano teorie psicanalitiche e la faccenda si complica quando l’incontro con Monteiro Rossi si trasforma in occasione di risveglio della sua coscienza di intellettuale non tanto assopita, quanto dedita unicamente a fatti culturali (io penso a me soltanto e alla cultura, è questo il mio mondo). Ma anche la cultura può esser soggetta alle tendenze politiche e le scelte editoriali finiscono per seguire la corrente, perché la censura agisce subdola e si presenta nelle vesti di consiglio più che stroncatura.
Ogni capitolo inizia e si conclude con le espressioni sostiene Pereira o, viceversa, Pereira sostiene, con un’insistenza che dapprima appare fastidiosa, ma poi diviene familiare e piacevolmente prevedibile e che sottolinea l’importanza della voce dell’intellettuale in ogni epoca. E alla fine, Pereira agisce, come non ci sarebbe aspettati.
Non avevo mai letto nulla di Tabucchi; è un autore che ho conosciuto – anzi, letto! – postumo, ma meglio tardi che mai. E ho trovato questo romanzo, che ha decretato il successo internazionale dell’autore nel 1994, vivissimo, perché rispecchia una situazione sempre in fieri: il ruolo della cultura nella società. Quale spazio resta all’intellettuale? Che potere ha la politica, quanta invadenza nelle scelte persino letterarie e come si può essere liberi se si è costretti a restare nei propri confini nazionali anche da un punto di vista culturale? E la verità a cui sono giunta è che la consapevolezza che deriva dalla lettura, nonché dalla conoscenza di pensieri eterogenei, è un nemico difficile da controllare, da annientare, perché anche quando sembra essere addormentata, vive. Fa paura chi sa pensare.
Susanna Maria de Candia
Antonio Tabucchi, Sostiene Pereira, Feltrinelli, pp. 214, 7,50 euro.