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C'è un nuovo nome da tenere bene a mente nella scena indie americana.
E non sto parlando di quella scena indie da me tanto amata fatta di commedie e romanticismo senza zucchero o senza stucco, sto parlando di quei film tra il serio e il poetico che nel bene e nel male fanno parlare di sé.
Quel nome è Brit Marling.
Classe 1983, attrice prima, e sceneggiatrice poi, la giovane si è fatta conoscere ai più esordendo dietro la macchina da scrivere con l'allucinante ma un po' limitato Another Earth, e con il più convincente e sostanzioso The East, entrambi arrivati anche da noi sebbene con una distribuzione limitata.
Nel mezzo, ci ha piazzato però questo piccolo film, piccolo, per certi versi, preparatorio al successivo in quanto a temi ma non in quanto a mezzi.
Sound of my voice affronta infatti il tema delle sette, dei santoni capaci di conquistare la fiducia dei disperati, di far credere loro a qualsiasi cosa.
Perfino di aver viaggiato nel tempo, di essere arrivati dal futuro per salvarli, e per portarli in quel 2054 da cui provengono.
Scettici, vero?
Anche Peter e Lorna lo sono, per natura, per un passato problematico che li ha fatti incontrare e conoscere, e che ora li vede impegnati in questa personale ricerca, nella realizzazione di un documetario-inchiesta che smascheri la misteriosa Maggie, infiltrandosi come adepti nel suo cerchio ristretto.
Non sarà facile, ovvio, e le prove a cui saranno chiamati saranno particolarmente toste, soprattutto per i deboli di stomaco.
Ma sarà altrettanto facile non cadere nella tentazione di crederle? Di farsi abbindolare dal suo stato di grazia, dal suo apparire fragile ma forte al tempo stesso?
Se noi come pubblico una tale influenza non la sentiamo, è chiaro che Lorna per il suo passato di ragazza ribelle e Peter per il suo di giovane problematico, questo fascino lo accusano. Ma Brit Marling è abbastanza intelligente a livello di scrittura da dosare il loro lento abbandonarsi alla fede, da invertire i ruoli, da mettere nel mezzo più di un mistero, vuoi che sia sul passato, per l'appunto, o sul futuro.
Il difetto come il pregio della pellicola, sta nel lasciare questi misteri insoluti, nel far creare ad ognuno la verità che più gli aggrada, senza dare conferme, senza mettere punti fissi.
Costruito come un intelligente e sofisticato mockumentary, Sound of my voice non ne utilizza gli stilemi, ma filma la preparazione stessa di questo, guardando dall'esterno, mettendoci dal punto di vista degli scettici e dei nuovi.
Anche a livello interpretativo la Marling sa il fatto suo, e regalandosi sempre il ruolo di primo piano nelle sue sceneggiature, fa qui della sua bellezza e della sua aria eterea il punto di forza della carismatica Maggie.
Con il suo budget risicato, il film dona comunque scene iconiche e una tensione palpabile che lo rende un thriller psicologico, in cui anche una canzone come Dream dei Cranberries trova il suo spazio.
Terreno di preparazione per quel The East che di altre sette e organizzazioni parla, qui la Marling convince altrettanto, con pochi mezzi ma con tanta sicurezza, abbindolandoci ancora una volta, facendoci adepti dei suoi lavori.
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