Accade che un giorno c'è un giovane regista che si fa il proverbiale mazzo per poter avere un minimo di notorietà. Accade poi che questo regista, che in questo caso ha l'aggravante di essere un figlio d'arte e che quindi, a prescindere dal risultato, verrà sempre etichettato come un paraculo, riesce a fare il suo primo lungometraggio. Tal lungometraggio si intitola Moon ed è una vera e propria perla. Tanto perloso che tutti quelli che avevano iniziato a pernacchiarlo perché era diretto dal figlio di David Bowie si ricredono e lo innalzano all'istante come nuovo maestro della fantascienza moderna. Insomma, forse questa è un po' esagerata come affermazione, però ricordo che all'epoca non potevi leggere nulla che riguardasse la sci-fi senza che ti comparisse davanti il faccio di Bowie jr. Quindi che succede? Succede che accadono sempre più cose, alcune più o meno importanti di altre, fino a che questo giovane regista riesce a farsi produrre il secondo film. Che deve essere un film col botto perché ha come protagonista un attore conosciuto da tutti e il trailer passa regolarmente in televisione, oltre che all'apertura di ogni film al cinema. E va bene che già dal trailer si capisce che anche qui, dato che c'è una scena al computer e si vede lontano un chilometro che è finta, gli spicci erano quello che erano, ma sembra un'operazione di più grande respiro rispetto a quello che era il suo fulminante esordio.
Colter Stevens, pilota dell'aeronautica, si sveglia su un treno. Solo che lui non ricorda come ha fatto a salire su quel treno e perché, nello specchiarsi nello specchio del bagno, vede il viso di un altro uomo. Quando poi il treno esplode, si risveglia in uno strano macchinario: è il Source Code, un'apparecchiatura ultra-moderna che permette a chi lo utilizza di vivere gli ultimi otto minuti di una persona. Tramite quella macchina, Colter dovrà scoprire chi ha fatto deragliare il treno...
Eggià, Duncanetto Giovannini ci riprova ancora con la fantascienza. Tizio monotono? Forse. Cioè, potrebbe anche esserlo, perché non lo conosco, ma la cosa mi interessa ben poco. Quello che mi interessa ribadire, piuttosto, è che c'è fantascienza e fantascienza. Perché fra questo film e la pellicola d'esordio del regista ci sono moltissime differenze, pur essendo possibile circoscriverle entrambe sotto la categoria fantascientifica. E la differenza sta proprio nell'uso che di fa del genere a cui appartengono. In Moon il genere era affiancato alla tematica, in Source Code invece lo si usa per raccontare una storia. Una differenza molto sottile ma che diversifica in toto le due pellicole, rendendo l'esordio di Jones ancora più genuino e maturo negli intenti: lì infatti si accompagnava il perosnaggio dentro un labirinto, qui invece lo si insegue mentre ci si addentra da solo. Non che questo suo secondo lavoro sia un brutto film, sia chiaro - e per favore, non venite a fare paragoni con District 9 ed Elysium, perché sono tutti abbastanza stufi - ma si nota maggiormente la natura meno 'profonda' e il suo essere più interessato all'intreccio che alle riflessioni che questo può dare. Ma d'altronde era un qualcosa di implicito nel modo stesso di trattare una storia simile, che verte su linee temporali e realtà parallele, quindi da un certo punto di vista mi viene da fare i complimenti allo sceneggiatore Ben Ripley, perché è riuscito a creare un qualcosa di decisamente abbordabile - e a risolvere in maniera anche vagamente azzeccata un vago paradosso che mi sembrava di aver intuito dal trailer - senza però rinunciare a un minimo di inevitabile complessità per le storie di questo tipo. Tutto senza strafare, senza immettere troppo eroismo in un protagonista che si ritrova eroe suo malgrado e senza puntare su un sensazionalismo che, visto il ridotto spazio dove il tutto si svolge, finirebbe per essere (preparatevi al gioco di parole più brutto di sempre) fuori luogo. Si centellina ogni cosa perché non spinga nessun piatto della bilancia troppo in là e lo si fa con una certa delicatezza. Nel mezzo comunque abbiamo tutti i cliché del caso, come l'innamoramento venuto dal nulla con una co-protagonista che si sforza a fare le smorfie più idiote che esistono e tanti inseguimenti, anche se i più rocamboleschi risentono di un budget non ancora adeguato, rendendo certi passaggi particolarmente finti. Lì devo fare un plauso ai realizzatori, perché rendere avvincente un qualcosa che a conti fatti si svolge unicamente dentro un treno e una gabbia cybernetica non è da tutti, eppure qui il tempo vola. Certo, dalla sua ha anche il fatto che è un film che dura esattamente una canonica ora e mezza, scelta coraggiosa di fronte a questi blockbusteroni fracassoni da tre ore o poco più, però c'è chi ha fatto dei totali disastri con ancora meno tempistica a disposizione - vedi Hobgoblins e poi muori. Il rischio di creare una buddhanata colossale quindi c'era, eppure il risultato è più che soddisfacente. Certo, chi si aspettava qualcosa che possedesse la medesima delicatezza delle disavventure dell'astronauta Sam Rockwell forse rimarrà un poco deluso, ma è impossibile negare che anche qui il buon Duncan abbia fatto valere il proprio talento, rivelandosi anche un buon regista di scene d'azione, per un cinema di movimento e di trapasso. So che molti non l'hanno apprezzato, ritenendolo una sorta di "vorrei ma non posso" o un qualcosa che non andava al di là della puntata media di Futurama, ma io personalmente lo considero un film intelligente e che, senza la pretesa di essere indimenticabile, si fa ricordare con piacere. Ma d'altronde, scrive uno che ha apprezzato Sucker punch e The box...
Da vedere se adesso Bowie jr, ormai passato alle grandi major con la realizzazione del film di Warhammer e finalmente con un budget degno di questo nome, riuscirà a non perdere il proprio smalto.Voto: ★★★