Magazine Cinema
(Source Code)
Duncan Jones, 2011 (USA, Francia), 93' uscita italiana: 29 aprile 2011 voto su C.C.
Il sergente Stevens (Jake Gyllenhaal) ha otto minuti per salvare il mondo. Solita storia, direte voi. E invece il giovane regista Duncan Jones (già sufficientemente ammirato per l'opera prima Moon) non sembra essere d'accordo con noi cinefili scettici e muniti di sana puzza sotto il naso: quegli otto minuti possono infatti nascondere un mondo infinito, o una infinità di mondi se preferite, una volta lasciati nelle sapienti mani di uno sceneggiatore ispirato (l'esordiente Ben Ripley). Il deus ex machina è un progetto segretissimo degli immancabili militari americani, il Source Code, che fondendo neurofisiologia ed informatica permette ad uno scienziato con pochi scrupoli (Jeffrey Wright) di sperimentare su ignari soldati le imprevedibili potenzialità della mente umana. Così gli ultimi otto minuti vissuti dalla vittima di un attentato possono essere re-interpretati ad libitum dall'eroe di turno, in modo da sventare futuri attacchi; poco importano le enormi sofferenze (fisiche ed emotive) causate all'indomito sergente-cavia. D'altronde, c'è un terrorista da catturare: ogni violazione è lecita – Patriot Act docet.
Ultimamente va di moda tra gli sceneggiatori l'idea di “rivoluzionare” il genere dell'action movie creando, quasi con masochismo, ostacoli all'apparenza insormontabili allo sviluppo della “sacra” suspense. Tra uomini seppelliti in bare di legno e superstiti intrappolati sotto una frana, sembra che il trend per il genere sia diventato proprio superare i vecchi schemi, che prevedono chiassosi inseguimenti ed ostentate sparatorie, in favore di stratagemmi leggermente più sofisticati. Source Code è una felice variazione del canone – nessun musicista serio si offenda – in cui gli ingredienti indispensabili per un buon film d'azione (il mistero, la frustrazione dell'eroe, gli svariati colpi di teatro, l'innamoramento passeggero) sono arricchiti con uno sviluppo abbastanza cervellotico da risultare originale. Infatti, sin dai tempi di Ricomincio da capo il ripetersi di una medesima sequenza di fronte agli occhi del compiaciuto (e onnisciente) spettatore aveva rivelato l'immortale fascino di un desiderio comune a tutti: poter rivivere momenti della propria vita, evitando tutti gli stupidi errori del passato. Nel caso di Source Code l'espediente trova uno sviluppo ben meno ontologico e sicuramente più pragmatico, diventando il fulcro attorno al quale costruire tutta l'architettura narrativa. Così, pur apparentemente private di quelle che sono le basi della famigerata suspense, le sequenze in cui il convincente Gyllenhaal si aggira in questo mondo in perenne loop si rivelano avvincenti, persino stimolanti. Chiedono però allo spettatore un minimo sforzo "intellettuale" per poter essere godute appieno.
Duncan Jones per la sua consacrazione nel mondo degli action movie sceglie dunque di percorrere la via impervia già tracciata da Nolan (tra gli altri): pur non lesinando la giusta dose di esplosioni, il fracasso appare sacrificato sull'altare del Mistero. Si tratta di una strada che conduce ad un futuro promettente.
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