Le Outer Banks sono una lunga striscia (circa 320 chilometri) di isole sottilissime (larghe al massimo poche centinaia di metri) che si protendono diritte nell’Oceano Atlantico, formando quasi una laguna di fronte alla parte meridionale della Virginia, dal North Carolina fino al South Carolina.
Si raggiungono da nord lasciandosi alle spalle le anonime colate di cemento di Virginia Beach, località immeritatamente famosa degli Stati Uniti, e imboccando verso sud la altrettanto celebre North Carolina Highway 12. Da sud, invece, si possono raggiungere percorrendo la breve Highway 58. Alcune delle isole che compongono la quasi ininterrotta catena, comunque, sono raggiungibili solo mediante traghetto.
La prima volta che me ne hanno parlato, ho avuto l’impressione che le Outer Banks fossero una sorta di scherzo della natura: queste isole sottili, quasi insignificanti per dimensioni e consistenza, sfidano da milioni di anni la furia dell’Oceano Atlantico e degli uragani caraibici, che le considerano quasi una corsia preferenziale quando decidono di abbandonare il Golfo del Messico e risalire verso nord. E vincono, con tenacia, contro forze temute da tutti per la loro potenza distruttiva.
Anche le Outer Banks sono, a loro volta, carnefici implacabili: il loro profilo appiattito sulle acque, la loro posizione inaspettata e le condizioni meteorologiche spesso particolarmente severe hanno causato nel corso dei secoli oltre 1000 affondamenti. Il primo di cui si abbia notizia risale al 1526, l’ultimo al 2012 quando l’uragano Sandy si è appropriato del Bounty, la ricostruzione del vascello inglese utilizzata nel 1960 per le riprese del celebre film con Marlon Brando. Il soprannome di “Cimitero dell’Atlantico” è quindi tristemente meritato. Nei giorni più ventosi le sabbie si smuovono e rivelano le spoglie corrose delle sfortunate vittime.
Ma a chi sa comprenderle e rispettarle, le Outer Banks regalano sensazioni uniche. Basta lasciare la zona più a nord, dove gli insediamenti urbani sono ancora tangibili seppur discreti, per rendersene conto. Il premio per la tenacia del visitatore è costituito da chilometri e chilometri di spiagge incontaminate e solitarie, che garantiscono un rapporto privilegiato e intimo con l’oceano.
Io ho scelto l’ultima settimana di Agosto per la mia visita e ho deciso di trascorrere le mie giornate appena a sud dell’Oregon Inlet. Una scelta del tutto casuale, ma fortunata.
Seduto di fronte all’oceano, con la sabbia spinta da un vento teso e costante che mi sferzava dolorosamente le gambe, ho potuto ammirare per ore la potenza delle onde in totale solitudine, disturbato solo dal gracchiare degli uccelli marini quando inavvertitamente mi sono avvicinato troppo ai loro nidi.
L’oceano non è stato così generoso da concedermi il privilegio di bagnarmi nelle sue acque, vista la sua furia incontrollata, ma non ne ho sentito il bisogno perso com’ero ad ammirare lo spettacolo naturale nel mio personale teatro. L’immensità della rappresentazione a cui ho assistito rimarrà per sempre impressa nella mia memoria.
Ma le Outer Banks offrono spunti interessanti anche a chi ha interessi diversi. Gli appassionati della storia navale possono recarsi sull’isola di Ocracoke e rivivere l’atmosfera del pirata Barbanera (al secolo Edward Teach), che ne aveva fatto la sua base. Chi invece è interessato all’aeronautica non dovrà farsi mancare una visita al Parco Nazionale di Kitty Hawk, dove i fratelli Wright effettuarono il primo volo con un velivolo a motore il 17 Dicembre 1903.
Queste sono le Outer Banks, un gioiello naturale ancora incontaminato, al cui fascino selvaggio non si può resistere.
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