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Sovversivi insegnamenti

Creato il 30 agosto 2025 da Indian

31 Dic 2016 @ 9:45 PM

Lezioni condivise 119 – Geo “alla cerca” di uno spazio.

Lo studio della geografia, già di per se complesso, è reso sorprendente, non da oggi, ma anche oggi, dall’essere scienza alla ricerca di spazi, già di per se paradossale per la disciplina dello spazio, della terra. Riesce perfino difficile credere che discipline così popolari, per quanto digeste o indigeste, a seconda dei gusti, possano trovarsi nelle condizioni di trovare nuovi spazi, non li hanno? Il cammino della scienza è appunto un movimento, esso smembra, crea nuove discipline che finiscono per prendere il sopravvento su altre, ti tolgono lo spazio, lo fanno proprio, ti svuotano…

Pare un discorso piuttosto inverosimile, lo è per noi gente comune, non lo è dove si consumano le “battaglie” scientifiche o pseudo tali… E ci sarà una ragione se qualche anno fa divenne quasi di pubblico dominio che l’insegnamento della geografia sarebbe dovuto sparire dalle scuole di grado inferiore, per essere accorpato probabilmente in qualche altra materia o smembrato in più di una.

Mi rendo conto che tra storia, economia, geologia, scienze umane e fisiche, antropologia, linguistica e via dicendo, gli spazi si siano ristretti, ma direi in riferimento a studi superiori, non alla scuola dell’obbligo.

Che fa allora la geografia, o meglio i geografi, se ancora così li possiamo chiamare; invadono a loro volta spazi? e non è che così si possa fare chiarezza. Già possiamo osservare che in differenti insegnamenti universitari si studiano argomenti simili, questo non è di per se negativo, anzi, studiare uno stesso argomento da diversi punti di vista, con approfondimenti differenti, può essere altamente formativo e specializzante.

E fin qui parliamo della scienza in se; nella politica delle scienze la situazione diventa cronaca, gli atenei esibiscono neppure troppo velatamente guerre tra dipartimenti e interdipartimenti, fino allo scontro personale, fino a contendersi gli studenti e adottare conflitti che potremmo immaginarci tra bancari o in una redazione giornalistica, piuttosto che in una università.

Eppure meditare di eliminare la geografia sembra impensabile, la scienza della terra, dello spazio in cui viviamo, se proprio fosse necessario ci sarebbero studi molto più vaghi e generici, non riesco a pensare che sia la geografia a dover cercare spazi. La scienza deve inseguire un po’ di logica: storia e geografia, tempo e spazio, che spesso si intersecano, ma sono l’elementare primitiva distinzione.

La Storia come totalità della vita umana, la geografia come sede in cui essa si svolge. Non è tutto così semplice in realtà, né si può tornare all’errore della divisione netta tra le scienze, la scienza moderna “predica” l’interazione, l’epistemologia, la cui applicazione distorta porta poi agli effetti anzidetti. Il sorgere di un problema non dovrebbe mai essere risolto moltiplicando i problemi all’infinito, fino al caos.

Così una inventiva, una visione anche eccezionale dello spazio e del tempo, quasi inimitabile, come quella di Fernand Braudel, riaccende la polemica: era storico o geografo? Entrambe le cose, perché solo storico e non anche poeta… Siamo alla banalizzazione dolosa delle discipline di studio.

Quando arriveremo a discernere di Geografia storica (tra complessità, interesse e assestamenti sottili), potremo anche scoprire che è più importante l’oggetto di studio del nome in cui viene racchiuso.

In realtà in questi anni c’è stato perfino qualcunƏ che ha tentato di mettere sotto attacco la Storia, gente inconsistente per fortuna, quellƏ che imaginano tunnel infiniti ove passano gli elettroni o roba simile, specie di micro-gasodotti scavati all’insaputa di chiunque… La Storia non è nemica di nessuno, riporta i fatti del tempo vissuto dall’uomo, ma la Storia a volte è percepita come il tuo avversario, scienza che ti opprime e che autorevolmente si pone in una posizione di disturbo rispetto alle scienze umane e anche rispetto a quelle fisico naturalistiche. E questo non è detto da gente qualsiasi, si mettono in moto filosofi per giudicare le scienze e chi le muove, il confine tra soggettività e oggettività è sempre vago, come il giudizio su tesi interessanti e non.

L’ambito di ricerca della storia è stato lo stesso di altre scienze dello spirito (filosofia e altre), questo sotto certi aspetti è naturale, tuttavia gli storicisti si posero il problema della necessità di differenziarsi, di centrare un particolare, anzi essere la scienza del particolare, lasciando alle altre scienze umane un ruolo più generale, delle ripetitività. Questa dicotomia è passata nel mondo scientifico: Storia come particolarità, totalità della vita umana, dell’azione e del pensiero; le altre scienze umane e fisiche, relative alla generalità. L’evento storico allora viene definito da tre caratteri peculiari: unicità (irrepeatability): ogni evento storico è definito nello spazio e nel tempo perciò è irripetibile; correlazione: ogni evento storico è correlato con un altro fatto o evento storico, dunque i fatti storici sono correlati tra loro; significato: capacità di apportare modificazioni, dunque, senso dell’evento. Gli storicisti devono distinguere anche per opportunità pratica, per la contrapposizione che c’è tra scienze umane e scienze fisiche per avere maggiore potere contrattuale da parte dei docenti, borse di studio e via dicendo, dunque necessità anche pratiche.

Wilhelm Windelband (1848-1915) e Wilhelm Dilthey (1833-1911), filosofi, sono tra i maggiori esponenti della scuola storicista di Heidelberg (detta anche scuola del Baden). I due storicisti fanno la migliore teorizzazione della differenza tra le scienze naturali e dello spirito. Nelle scienze naturali, il soggetto della conoscenza è esterno (diverso) dall’oggetto della conoscenza. L’uomo si pone in relazione con qualcosa di diverso da lui che apprende per conoscenza causale: metodo induttivo o empirico. Nelle scienze storiche il rapporto con la storia da parte dell’uomo e nello stesso tempo anche oggetto della conoscenza; l’uomo è compreso nella realtà storica, che deve essere studiata dall’uomo stesso.

La comprensione della realtà storica per Dilthey avveniva attraverso un’analisi dell’uomo come individuo (psicologia). Prima occorre partire da una base psicologica, conoscenza dell’uomo, poi dal suo ruolo di animale sociale.

Dilthey, fondatore dello storicismo tedesco, nell’Introduzione alle scienze dello spirito delineò le differenze dell’oggetto di indagine delle scienze dello spirito rispetto a quello delle scienze naturali.

Riaffermò l’importanza della storicità nella scoperta dell’influenza delle cause sociali sulla formazione dell’uomo e del mondo, e sostenne il primato e l’autonomia dei fatti nella storia.

Mentre le scienze naturali tendono a rivelare le uniformità del mondo grazie al loro oggetto che è esterno all’uomo e viene compreso attraverso la spiegazione di un fenomeno, le scienze dello spirito tendono a vedere l’universale nel particolare indagando all’interno dell’uomo e sono capaci di comprendere un fenomeno.

Nell’opera Il contributo allo studio dell’individualità, Dilthey afferma che l’oggetto del comprendere è l’individualità. Negli Studi per la fondazione delle scienze dello spirito e nella Costruzione del mondo storico lo stesso Dilthey afferma: “Il comprendere è il ritrovamento dell’io nel tu”.

Per Dilthey il processo della comprensione risiede all’interno delle scienze dello spirito, e il comprendere non è un comportamento teorico, ma il rapporto che l’uomo intrattiene con sé stesso. Spiegare e comprendere sono solo due diverse direzioni della coscienza che giungono a costituire due differenti categorie di oggetti (agli oggetti dello spiegare corrispondono le scienze empiriche; agli oggetti del comprendere, le scienze storico-sociali). L’ermeneutica.

Windelband è più preciso di Dilthey: egli pone una differenza tra scienze nomotetiche (nomos e regola, legge), generalizzanti, che tendono a scoprire il funzionamento del mondo fisico, causalmente (secondo il rapporto di causa ed effetto) e scienze idiografiche (idios, individuo), individualizzanti, che puntano a cogliere il particolare, l’irripetibile, unico, originale, circoscritto nello spazio e nel tempo, che deve essere compreso e non spiegato causalmente.

Questa distinzione la fa in Storia e scienza della natura (1894), le nomotetiche (dal greco nómos e thetikós: «che stabilisce leggi») e le idiografiche (dal greco ídios e graphikós: «che descrive il particolare»: le prime sono le scienze della natura che, descrivendo fenomeni che si ripetono esattamente nelle stesse condizioni, possono formulare «leggi» generali, mentre le seconde sono le scienze storiche che, studiando fenomeni che accadono una volta sola, unici, non ripetibili e particolari, non formulano leggi generali, ma esprimono «figure» individuate dal loro «valore» (ad esempio, immagine idiografica), perché «solo ciò che è unico ha valore». Storia di valori, dunque.

La filosofia in quanto scienza critica della storia esprime giudizi di valore, o critici, ovvero esprime le relazioni tra i fatti e la coscienza giudicante, acquisendo validità oggettiva. Il suo compito è stabilire le «norme» sulle quali si fondano i tre giudizi critici fondamentali (valori universali): il giudizio logico, il giudizio etico e il giudizio estetico, ovvero della “coscienza normale” o normativa.

Le idee dei due entrano nella riflessione geografica grazie a Alfred Hettner. Egli ha una visione moderna della geografia che condivide in pieno le tesi storiciste, ma non ha trovato seguito. Per Hettner la geografia è un modo per osservare la realtà. Tutta la storia produce variazioni nello spazio e nel territorio. E’ la storia che produce spazio (Kant: non esiste nè spazio nè tempo, se non quello che noi viviamo – viriamo, dalla nostra mente). L’elaborazione concettuale geografica, nel tentativo di fare ordine, diventa piuttosto oscura ed è una posizione pericolosa perché condividendo le tesi storiciste mette in pericolo l’esistenza della geografia stessa, in favore della storia (in ambito accademico) che si fa forte del rischio di suo stesso smembramento.

Siamo a concezioni sostanzialmente filosofiche. Hettner, in uno dei tentativi di salvataggio, opta per il regionalismo (benché non fosse una novità), in senso di spazio, di definire l’irripetibile, l’unico, l’originale. Egli riteneva lo spazio un prodotto della storia, che nel presente veniva esercitato dall’uomo nel suo spazio vitale. Egli si è occupato intensamente di geografia del paesaggio. Ramo dell’insegnamento fondato nel 1919 da Siegfried Passarge, perché ci fosse uno sviluppo rispetto all’approccio meramente morfologico, verso orografia, geologia, geomorfologia, climatologia, della flora e della fauna. Egli ha valutato i precedenti Länderkunde (studi nazionali) più che sufficienti, benché contraddicano Passarge per una coreografica visione del paesaggio: corrispondente a una scala compartimentazione di Erdräume (spazi terrestri), divisioni dimensionali tra continente, paese, paesaggio e, infine, località, la più piccola unità di classificazione dimensionale, intendendo come tale un limitato spazio territoriale, ove avvengono modifiche temporali (per lo storico), nello spazio (per il geografo), ad esempio la viticoltura, soggetta a nuove tecniche e modifiche nel tempo e nello spazio.

Hettner ha aggiornato molto questi concetti, specie quello corologico, lo studio dei luoghi e delle regioni, un concetto che ha influenzato sia Carl O. Sauer che Richard Hartshorne.  Lo stesso Alfred Hettner ha pubblicato nel 1907 il libro L’Europa, ove sostiene che la geografia è una scienza corologica (studio della distribuzione geografica di organismi viventi) e si basa sullo studio di regioni. Ha respinto l’idea che la geografia può essere o generale o regionale. Anche la Geografia come gli altri campi del sapere, deve fare i conti con la relazione tra unico e universale, regionale e generale, ma lo studio delle regioni è il campo principale della geografia.

(Geografia – 21.1.1998) MP

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Commenti (1)

SOVVERSIVI INSEGNAMENTI
1 #
ashlyn
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Inviato il 09/01/2017 alle 00:30
How come all the cool girls are…?


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