I Romani, però, da sempre avevano assaporato delusioni cocenti per potere stanare definitivamente i Bruzi dai loro covi, chiamandoli homini mali, latrones, Brigantes come i popoli dell’Ibernia che nemmeno Cesare era riuscito a soggiogare: popoli incapaci alla sottomissione!
L’antica propensione ad esplorare luoghi impervi e difficilmente raggiungibili aveva spinto alcuni gruppi bruzi a inerpicarsi lungo gli argini del fiume Crotalus, così chiamato per l’irruenza delle sue acque, posto nell’angustissima valle a est della grande montagna dove di regola vivevano.
La loro disposizione a spargersi in estensioni territoriali vaste era dettata da motivi di sopravvivenza.
Uno dei capi , di nome Shorot, assieme alla sua tribù costituita dai sette figli, dalla moglie, dal vecchio padre Karob, da alcune donne e da altri appartenenti alla sua stirpe , risalì il tambureggiante fiume spingendosi verso nord fino a immergersi in boschi intricati e fitti per un’erta che pareva non finisse mai fino all’altopiano e subito dopo digradante su una dolce pianura tratteggiata solo radamente da alberi; una sorta di oasi celata tra le foreste che apparve come un segno di un qualche dio particolarmente generoso. Shorot, capo tribù, volle piantare in quel luogo il suo accampamento per una esplorazione appropriata delle terre. La sua sorpresa fu grande quando si accorse che a valle, una valle sinuosa, scorreva un delicato fiumiciattolo che si srotolava senza rumore. Sentì che quello era il luogo che il dio gli aveva assegnato perché lì vivesse con la sua tribù.
Ma non fecero in tempo a sistemarsi che il vecchio genitore morì. Cosi chiamarono quel luogo Karoboli.
Si era sparsa notizia che uno schiavo trace fatto dai romani gladiatore, di nome Spartacus, era fuggito e stava da tempo ribellandosi energicamente a Roma.
Egli, dopo aver saccheggiato alcuni carri romani che trasportavano armi ad altri gladiatori, aveva costituito un forte esercito fatto di schiavi pronti al sacrificio pur di riavere la propria libertà. Spartacus apparteneva in origine ad una tribù nomade, era dotato di grande intelligenza e di un’educazione quasi ellenica.
Tante erano state le battaglie e Spartacus aveva intrapreso la via del Bruzio per raggiungere l’isola di Sicilia per ravvivare le rivolte servili. Così le tribù bruzie si stavano organizzando per accoglierlo e seguirlo.
Dopo le sonore sconfitte inferte ai Romani nel Piceno, nell’autunno del 72 Spartaco e il suo esercito composto da schiavi Galli, Celti e Balcanici, giunse nella Silua.
A Turi barattò i bottini vinti con ferro e rame per fare armi.
Shorot raggruppò uomini di ogni età e di varie tribù e parti verso le grandi foreste. Lunga marcia al freddo e alle intemperie ma con il cuore caldo di pensieri di rivincite contro i fortissimi romani.
Sulle rive del Targines, tra faggi millenari che incorniciavano le umide radure fluviali , sparsi come funghi migliaia di schiavi attendevano ordini. Spartaco era lì, in mezzo a loro. Shorot e i suoi uomini s’avvicinarono a lui offrendo le loro armi e i loro corpi alla causa della libertà. Pelli d’orso coprivano gli uomini reduci da interminabili cammini e violente battaglie, partiti dalla Gallia. Spartaco portava addosso le vesti di gladiatore, incurante del freddo.
Si marciò quindi verso Sud, verso la Trinacria!
Giunto Spartaco con il suo esercito in prossimità dello stretto di Scilla, contattò i pirati cilici per la traversata: questi però lo ingannarono e non potè attraversare quella lingua di mare: fu costretto a risalire.
Gli astuti romani, intanto, avevano deciso di concentrare nel Bruzio le loro agguerrite legioni poichè temevano quel che poteva accadere se Spartaco avesse potuto consolidare una vera alleanza con quei popoli testardi e insensibili ad ogni oppressione: i Bruzi. Questi erano stati già alleati di Pirro e Annibale, avrebbero certamente aiutato anche Spartaco e ne avrebbero fatto un brigante come loro: imprendibile!
Per questo mandarono il pretore Marco Licinio Crasso, il migliore stratega militare romano del tempo, con ben otto legioni, per fermarlo.
Le avanguardie servili, composte per lo più da elementi bruzi, che ben conoscevano quegli aspri territori, informarono Spartaco della presenza romana nei pressi di Hypponion. Le legioni di Crasso, in effetti si erano sistemate e presidiavano in maniera capillare, nella parte più stretta del bruzio, tutto il territorio da una costa all’altra per impedire il passaggio ai rivoltosi con una diga umana di soldati armati fino ai denti sistemata lungo l’istmo tra Scillunte e Hypponion.
Crasso era memore della costruzione di un muro fatta tre secoli prima da Dionisio Primo per difendere Locri dai Lucani e nello stesso luogo scavò un vallo profondo venticinque piedi, lungo trecento stadi da costa a costa e vi eresse a cornice un muro molto alto e robusto.
Ma gli armati schiavi, spregiudicati e temerari, non avevano grossi timori e tentarono di forzare le linee romane. Vennero respinti più di una volta. Poi, con il freddo pungente che avanzava e le nevi copiose che cadevano, sfondate le selve, Spartaco ordinò di ricoprire il fosso con terra e sterpi: così a capo do un manipolo dei suoi ribelli oltrepassò l’ostacolo. Ci si diresse verso Petelia ove si pensava di potersi imbarcare per l’Epiro: mentre dal cielo cadeva grandine dura. Impossibilitato però a prendere il mare, venne inseguito e chiuso in un angolo da Crasso. Costui, però sempre timoroso, non riuscendo a dare il colpo finale e perdendo continuamente uomini in agguati guerriglieri, chiese aiuto al senato di Roma. Il governo romano richiamò Licinio Lucullo dalla Macedonia che sbarcò immediatamente a Brindisi, mentre il governo di Roma interessò addirittura Pompeo che si trovava con le truppe in Spagna.
Spartaco comunque impossibilitato a imbarcarsi cambiò progetto decidendo di dirigersi nuovamente verso l’Apulia via terra.
Ma Shorot , che gli era divenuto amico e confidente gli disse che oramai l’immensa macchina da guerra romana lo avrebbe stritolato.
Mai cadrò nelle mani dell’odiato romano, meglio morto!
Pensò Spartaco. Shorot lo convinse così a far partire il suo esercito senza di lui. Stanco oramai e voglioso di libertà o di morte, pensò che in quella maniera avrebbe donato agli astuti romani un’ultima beffa!
Nei pressi del fiume Sele l’esercito dei disperati venne definitivamente sconfitto, ma il corpo di Spartaco non fu mai trovato! Spartaco non era mai partito dal Bruzio anzi era rimasto celato nelle foreste. Tornò con Shorot a Carroboli.
Alla fine della guerra i Romani condussero una spietata caccia ai bruzi, colpevoli di sempiterna ribellione. Molti vennero decapitati, molte tribù smembrate con una deportazione coatta. Shorot e altri capi tribù vennero caricati su carri dentro gabbie di legno come gli schiavi orientali e portati in una terra lontana.
La terra che li accolse era però molto simile al Bruzio: aspre montagne e fiumi scroscianti, terre selvagge e ricche di boschi.
Gli abitatori di quella terra chiesero a Shorot da dove venissero così brutali e disperati, e Shorot rispondeva in lingua latina per farsi comprendere: …a bruzio…
Cosi da allora quella terra fu chiamata Abruzzo.
Shorot e gli altri vennero sistemati ai piedi di una collina in zona non distante dal mare per scuoterne le usanze rurali e fiaccarne l’identità montanara.
Si trattava di un luogo segnato da remoti insediamenti protostorici e quindi già antropizzati in cui apparivano tracce antiche di vita umana ma oramai deserte. Shorot e gli altri s’accamparono e cercarono di edificare abitazioni. Poi chiamarono Corropoli, a ricordo della loro perduta patria, quel luogo e vi rimasero per sempre.
Spartaco, non riconosciuto dai romani, sopravvisse nelle terre bruzie per molti anni ancora in libertà. Sposò una figlia di Shorot che era rimasta in patria ed ebbe due figli che coltivarono le idee di libertà e fierezza in quella terra.
Morì molti anni dopo supino all’ombra di un albero rigoglioso sulle rive del fiume Crotalus guardando il cielo e i corvi che volavano liberi!