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Speciale Boccaccio: Il “Decameron” tra Giovanni Boccaccio e Aldo Busi

Creato il 17 luglio 2013 da Sulromanzo
Autore: La RedazioneMer, 17/07/2013 - 15:30

Speciale Boccaccio, Il Decameron, Aldo BusiArticolo di Marco Cavalli pubblicato nella Webzine Sul Romanzo n. 3/2013, Le tentazioni della cultura.

Parlando dell’attualità di Boccaccio, si pensa subito alla visione schiettamente umana della vita che ci offre la sua opera maggiore, il Decameron. La prima parola del Decameron è l’aggettivo “umana” («Umana cosa è l’avere compassione degli afflitti»), parola che sembra ricercare il confronto, per non dire la sfida, con quell’altro aggettivo che entra (di straforo) nel titolo dell’altra grande opera della letteratura italiana delle origini, la Divina Commedia, di cui Boccaccio fu estimatore fervido.

Dante è utilissimo per capire Boccaccio. Per esempio, è indubbio che l’idea di fare del Decameron un inventario delle passioni e dei sentimenti umani, Boccaccio l’ha presa da Dante. Tuttavia, la Commedia resta una costruzione di gusto medievale. Classifica e ordina le passioni secondo criteri teologici; descrive un’ascensione che va dalle passioni basse e terrene a quelle alte e celesti. Il Decameron somiglia più a un’enciclopedia che a una summa. La stessa decisione di scriverlo in prosa influisce sullo schema generale dell’opera. La prosa democratizza; dispone in orizzontale ciò che la poesia di Dante porta alle stelle o precipita agli inferi. Anche il Decameron ha i suoi innalzamenti di diapason, le sue accensioni, i suoi raffreddamenti. Essi però sono la registrazione di una misura interna; indicano il grado di intensità raggiungibile dal racconto di una passione, non il posto che occupa quella passione all’interno di una graduatoria morale. L’amore può essere ardente come quello di Ghismonda per Guiscardo (novella I, giornata IV); ma è il racconto che Fiammetta fa di quell’amore a renderlo ardente.

Nessuna considerazione di tipo moralistico riesce a far valere i suoi argomenti contro il modo in cui Boccaccio rappresenta certi stati d’animo e certe azioni. Leggendo la novella di Ser Ciappelletto non si prova alcun interesse o stimolo a biasimare la condotta del protagonista: essa si giudica da sé. A saltare agli occhi è un altro aspetto: il successo che premia Ciappelletto e il suo travestimento di santità. La morale che se ne trae (la frode è più antica e universale persino del cristianesimo) non è né originale né banale, e neanche implicitamente ricattatoria nei confronti del lettore.

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