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Speciale "Cuore nero": intervista ad Amabile Giusti

Creato il 18 giugno 2011 da Lauragiussani

Cari lettori, eccoci ad un nuovo appuntamento con lo speciale dedicato al romanzo "Cuore nero". Il programma di oggi prevede....l'intervista all'autrice, Amabile Giusti!Un'intervista davvero corposa e ricca, oserei dire, viste le numerose domande alle quali Amabile ha gentilmente risposto. Le fotografie che accompagnano l'intervista ritraggono diversi scorci di Palmi (RC), luogo in cui è ambientata la vicenda: molti dei posti che vedete qui di seguito, infatti, li ritrovate descritti nelle pagine del romanzo.
Vi ricordo inoltre che avete tempo fino al 30 giugno per partecipare al giveaway legato allo speciale: in palio una copia del libro... Autografata e con tanto di dedica!
     INTERVISTA   
Buongiorno Amabile, e benvenuta su Sfogliando! Anzitutto grazie per la disponibilità, è per me un piacere poter incontrare (anche solo virtualmente) l’autrice di “Cuore Nero” e chiacchierare un po’ di questo tuo bel romanzo. Prima di iniziare con la raffica di domande… Hai voglia di presentarti ai tuoi attuali (e soprattutto futuri) lettori?
Buongiorno Laura, e grazie per l’affettuosa accoglienza. Mi presento volentieri, anche se non amo parlare di me in modo diretto, di solito preferisco farlo attraverso le mie storie. Posso dirti che sono un’adulta poco cresciuta, un avvocato che crede nelle favole, una sognatrice pragmatica. Ho un indole pessimista, e uso la fantasia per vedere il bicchiere mezzo pieno. Per me la scrittura è una necessità, una terapia contro la mia natura malinconica e lunatica. Al posto del Prozac uso la parola scritta.

Amabile Giusti

Nella tua biografia dici di essere “un avvocato che non si sente un avvocato”, in quanto la tua vera passione è la scrittura. Iniziamo dunque con la domanda di rito: come e quando è nata questa passione?
Non ricordo esattamente “quando”. So che ho sempre amato scrivere e, prima di scrivere, inventare. L’invenzione è stato il mio primo “come”. Prima di buttare giù concretamente qualcosa, ho attraversato una lunga e fervida infanzia di storie solo fantasticate. Trame talvolta complesse, che si arricchivano ogni giorno di personaggi e situazioni. Ero una bambina timidissima, poco socievole, molto impacciata, ma coi pensieri galoppavo e avevo un mondo di amici.
Dopo l’esordio, nel 2009, con “Non c’è niente che fa male così” arriva ora il tuo secondo romanzo, “Cuore Nero”: due letture profondamente diverse, un cambio di genere decisamente netto. Da dove nasce l’idea di scrivere un libro urban fantasy dal taglio romantico e – aggiungerei – un poco noir?
I generi sono diversi, senza dubbio, ma a ben guardare i due romanzi sono meno antitetici di quanto sembri. Anche “Non c’è niente che fa male così” raccontava la storia di una ragazza molto giovane e molto determinata alle prese con una realtà più grande di lei. Certo, in Cuore nero la trama si arricchisce di elementi fantasy, ma ho cercato di rendere reali le emozioni vissute dai protagonisti, anche quelli leggendari. L’idea nasce proprio dal desiderio di dare verosimiglianza a dei personaggi di pura invenzione, di renderli intimamente credibili, di non farne eroi o anti eroi da macchietta. Mi affascinava questa sfida. Se l’ho vinta o persa non spetta a me dirlo...
Ci troviamo in un periodo nel quale l’editoria è stata letteralmente travolta da un’ondata di racconti urban fantasy incentrati sui vampiri e con protagonisti spesso adolescenti. Perché scegliere un tema tanto gettonato? In che modo hai cercato di renderlo originale, e su cosa hai deciso di puntare per farlo emergere dalla massa?
Ti confesso che non ho fatto questa valutazione quando ho concepito Cuore nero. L’ho scritto quattro anni fa. Credo che allora questo tipo di letteratura non fosse ancora tanto inflazionata. Ma anche se lo scrivessi adesso, non ci farei caso. Forse sono un po’ sprovveduta, ma quando scrivo non penso alla pubblicazione, non penso a ciò che vuole o rifiuta il mercato: lo faccio per me, perché un’idea mi chiama e mi intriga, perché i personaggi che via via delineo mi fanno compagnia, perché vorrei essere come loro o non vorrei assolutamente essere come loro. Per la gioia che mi dà il semplice creare. Il sospetto che qualche editore potesse prendere in considerazione Cuore nero è venuto dopo, quando ho avuto il coraggio di fare leggere la storia ad altri e sono stata sollecitata a tentare. Se fosse stato per me sarebbe ancora nella memoria del mio pc e basta.
Riguardo all’ambientazione, come mai hai scelto proprio il tuo paese, Palmi, come sfondo per una storia fantasy, mescolando aspetti reali ad elementi di pura immaginazione? Non sarebbe stato più semplice (e facile), per te, collocare la vicenda in uno scenario inventato ad arte?
Sarebbe stato più facile, ma meno stimolante. Inoltre, avevo già scritto una storia fantasy in senso più classico – ancora inedita - ambientata in un luogo totalmente inventato, e non volevo ripetermi. Mi stuzzicava il pensiero di fare della città in cui vivo una sorta di teatro di posa.



Mi hai detto che ogni luogo descritto è realmente esistente: le strade, le case, le spiagge… Perfino la scuola dove tu stessa hai studiato. E che ci dici della Villa dell’Agave? Esiste veramente?
Esiste eccome. Quando l’ho vista, dopo averne ignorato a lungo l’esistenza - poiché non si trova su una strada di passaggio ma all’interno di una viuzza appartata, esattamente come è descritta nel romanzo, pianta di agave compresa - ho capito che tutto sarebbe cominciato da lì, perché era perfetta per far scivolare indietro il sipario. E’ stato molto divertente fondere una geografia reale con personaggi di pura fantasia.
Alcune curiosità sui personaggi. Giulia è una ragazza dal carattere forte e combattivo, schietta e a tratti anche esilarante. A chi ti sei ispirata nel delineare questo incredibile personaggio?
A quello spiritaccio scherzoso e caustico che mi abita dentro sotto strati di riserbo e timidezza. All’adolescente risoluta che avrei voluto essere ma non sono stata. Alla me stessa segreta, che vorrebbe dire pane al pane e vino al vino, e non lo dice mai a parole dirette, ma attraverso le cose che scrive. Amo molto Giulia, perché non è una che aspetta: lei vuole, va e prende.

E di Max che ci dici?
Max è un personaggio che è stato un piacere raccontare. Quando l’ho creato mi pareva di amarlo come se fossi una sua compagna di scuola e lo osservassi ammaliata dall’ultimo banco. La sua insolenza e la sua apparente frivolezza nascondono molti segreti. C’è un brano, nel libro, che lo descrive come un quadro di Picasso, una di quelle opere dall’apparenza caotica e inafferrabile in cui un cuore aperto e un occhio esperto riescono a vedere una bellezza che va ben oltre la superficie.
Il personaggio al quale sei più affezionata? E quello che invece è stato il più difficile da mettere nero su bianco?
Si tratta dello stesso personaggio. Una figura minore e pressoché silente, ovvero la signora Lina. E’ un omaggio a una persona reale, affetta dalla medesima malattia. Proprio per questo, raccontarla è stato più difficile, per la paura di sbagliare o di farne una descrizione irrispettosa, caricaturale. Mi auguro di essere riuscita, pur con i risvolti romanzeschi necessari alla narrazione, a renderla vera e piena di dignità. Un essere umano che, pur nelle incoerenze proprie del male che la affligge, vede e capisce le cose prima di tutti gli altri.


I tuoi personaggi sono molto coerenti, credibili e reali, ma soprattutto sfuggono alla banale suddivisione tra “eroi” e “mostri”. Nessuno è cattivo fino in fondo e al tempo stesso ognuno lotta con ogni mezzo per ottenere quello che vuole. Ad esempio, hai per certi versi giustificato Audrey e ci hai fatto ricredere su Victor: perché?
Tranne che per i prodotti destinati ai bambini, in cui una suddivisione netta tra buono e cattivo rende i ruoli più riconoscibili e rassicuranti, non ho mai amato i personaggi che sono tutto nero o tutto bianco. Nessuno lo è davvero, nessuno ha solo peccati o solo benedizioni. Amo le figure variegate, i cattivi con delle motivazioni e perfino dei lati amabili, i buoni con colpe e responsabilità. Mi piace che un personaggio negativo possa suscitare tenerezza, e un personaggio positivo rabbia. Mi piace stupire con risvolti inaspettati, e mischiare le carte. Della serie: niente è mai come sembra e, anche se è come sembra, non è detto che lo sia per sempre.
Parliamo dell’aspetto fisico dei protagonisti, Giulia e Max: lei non è bellissima, non ha il classico fisico da top model, e Max – pur essendo bello - nella versione “vampiro” è tutt’altro che affascinante. Questa scelta si ricollega al fatto di voler rendere i personaggi più “veri”… E in qualche modo forse anche più vicini al lettore?
Dici bene. Giulia è una ragazza normalissima, semplicemente carina, non certo una modella. Max è un bel ragazzo che, trasformazione a parte, per un tratto della storia, come sai, perde parte della sua bellezza. Ho voluto che Giulia lo vedesse così, affinché il suo sentimento fosse sincero e consapevole: è facile invaghirsi di un adone, meno facile amarlo anche quando sembra una belva o quando è malato. Ho fatto il possibile, nei limiti imposti dalle esigenze del romanzo, per tratteggiare delle persone più che dei personaggi, e le persone non sono perfette. La perfezione non suscita simpatia. Per dirla tutta, la perfezione è di una noia mortale.


In “Cuore Nero” si fa molto uso del francese. I Lassalle sono francesi, così come Audrey e addirittura lo stesso Max. A cosa è dovuta questa scelta particolare?
Al desiderio di contrapporre la soavità della lingua francese alla durezza di chi la parla. La Francia mi affascina di per sé, ma mi affascinava ancora di più questo gioco. Vampiri assassini che parlano tedesco, ad esempio, sarebbero stati scontati, la lingua si sarebbe prestata fin troppo bene a certi dialoghi concitati e perentori. Ma farli parlare in francese mi pareva interessante e perfino spassoso. Non volevo che fossero italiani, volevo introdurre un elemento, per così dire, esotico, e il francese mi è parso perfetto.
Nel tuo libro non mancano certo i colpi di scena. Fa tutto parte del disegno originale o hai aggiunto volutamente elementi fuorvianti per depistare (ma soprattutto per far poi ricredere) quei lettori che magari, ad inizio libro, pensano di aver già capito tutto e di essere incappati nella solita, banalissima trama?
Amo molto i colpi di scena. Nemmeno “Non c’è niente che fa male così” ne è privo. Mi piacciono, in un certo senso, i giochi di prestigio, smontare i preconcetti, reinterpretare le circostanze. Una narrazione piatta e prevedibile sarebbe noiosa pure per me, e io quando scrivo voglio divertirmi a dire tutto e il contrario di tutto. Senza confusione, ovviamente, alla fine ogni cosa ha un senso preciso nel quadro generale.
Parliamo un po’ di te, adesso. C’è un momento della giornata in cui ti riesce meglio scrivere? O un posto in particolare che stimola la tua fantasia e ti aiuta nella concentrazione?
Deluderò chi pensa allo scrittore come a un artista compulsivo che butta giù idee nei luoghi e nei momenti più strani, in preda alla frenesia creativa. La frenesia c’è, intendiamoci, ed è forte, ma non riuscirei a scrivere se non alla mia scrivania e davanti al mio pc, con la finestra aperta e il rumore della vita altrui che scorre giù in strada. Non ho orari preferiti, tutti vanno bene se sono ispirata, ma la finestra aperta è di rigore, anche d’inverno, come le otiti che mi becco per questa piccola mania. Non so perché, però ho bisogno dell’aria, delle voci, del mondo intorno, che non sento e allo stesso tempo sento in modo subliminale. Ma guai a parlarmi direttamente, sono come sorda, e per catturare la mia attenzione ho bisogno di essere sollecitata con una certa insistenza e, perché no, con un certo malgarbo, altrimenti rimango sulle nuvole…


Ti consideri un’autrice impulsiva o riflessiva?
Entrambe le cose. Sono impulsiva all’inizio, quando nasce l’idea, ma quando srotolo la trama, man mano che scrivo, rifletto bene su ogni cosa, su ogni dettaglio, perché voglio che l’insieme sia organico, privo di incongruenze, e, pur con tutti gli intrecci del caso, scorra liscio come l’olio.
C’è qualche autore straniero che segui con particolare interesse? E a livello nazionale?
Parlando di contemporanei, leggo tutto ciò che scrive Andrea Camilleri. Non sono una patita delle storie con un seguito, tranne nel caso primo e ultimo di Harry Potter, che è e resterà per sempre un fenomeno nel suo genere. Non ho letto Twilight e non amo in particolare gli urban-fantasy. L’unico romanzo a tema vampiresco che ho letto è il sommo Dracula di Bram Stoker. Amo i gialli inglesi degli anni 30/40, e sono una patita di manga giapponesi. Ultimamente ho scoperto un autore indiano che mi diverte tanto, Tarquin Hall, che ha inventato una sorta di Hercule Poirot di Nuova Delhi. Semplice e rilassante.
Il tuo libro preferito, quello che non ti stancheresti mai di rileggere? E quello che invece si è rivelato un’enorme delusione?
Non mi stancherei mai di rileggere Orgoglio e Pregiudizio, Jane Eyre, Assassinio sull’Orient Express, La bottega dei giocattoli e il racconto Stand by me. In un certo senso, con le dovute proporzioni, nei miei lavori c’è un po’ lo spirito di queste storie. Romanticismo, coraggio, ironia, mistero, e un malinconico orrore.
Di solito sono abbastanza abile a fiutare ciò che può o non può incontrare i miei gusti, mi basta documentarmi un po’ prima di prendere un libro, e leggerne le prime due o tre pagine in libreria. Certo, l’errore è sempre in agguato, come nel caso di un romanzo che ho letto da poco e per questo mi viene in mente, “La figlia di Jane Eyre”, talmente brutto che ho dovuto buttarlo, cosa che di norma non faccio mai. Ma questo mi infastidiva averlo in casa, figurati. E’ vergognoso come sia stata forzata e reinterpretata la natura di Jane. Per non parlare dell’incesto che aleggia in varie forme su tutta la storia. Insopportabile.
“Cuore Nero” è uscito il 31 maggio: ora, a distanza di qualche settimana… Cosa ci puoi dire di questa tua esperienza? Come l’hai vissuta?
Sono felice e incredula che il libro stia piacendo, e mi auguro che se ne parli sempre di più, soprattutto perché ho deciso di devolvere i miei diritti d’autore in beneficenza, a favore del Rifugio “I fratelli minori” della Lida di Olbia. Già li aiuto nel mio piccolo, ma sarebbe bello poter contribuire in modo più significativo. Per il resto, vivo tutto con serenità, senza particolari eccitazioni, perché l’eccitazione maggiore me la dà scrivere, e il resto è un piacevole sviluppo, un delizioso contorno, che tuttavia non destabilizza la mia quotidianità e le mie abitudini. Pensa che quando il mio agente mi ha telefonato per dirmi che l’editore era interessato a Cuore nero, stavo sbrigando delle faccende domestiche, e gli ho risposto “bene” e lui “non festeggi?” e io “sto festeggiando” e lui “veramente io sento rumore di aspirapolvere”. Io sono così, continuo la mia semplice vita. Sono contenta dentro, ma non lo manifesto in modi altisonanti. C’è chi pensa che sia fredda, ma non è vero, sono solo molto riservata: dentro ho un frastuono di emozioni ma le tengo per me.


E ora, l’ultima domanda. Quella che sta letteralmente tenendo sulle spine molti dei tuoi fan: “Cuore Nero” avrà un seguito? Ci troveremo ancora a leggere di Giulietta e Max? O dobbiamo fin da ora considerarlo un romanzo autoconclusivo?
Nella mia testa il seguito c’è già, l’idea è nata e sviluppata nelle sue linee fondamentali. E non da ora. Subito dopo aver scritto Cuore nero, ho dovuto, per non stare troppo male a causa di quell’epilogo, immaginare un dopo che mi consolasse. Non credevo però che qualcuno mi avrebbe davvero chiesto di scriverlo. Mi sa che mi dovrò mettere all’opera!
Bene, siamo giunti alla fine dell’intervista. Prima di lasciarti la parola per i saluti, voglio ringraziarti ancora per la tua disponibilità, sei stata gentilissima. Di nuovo i miei complimenti per il libro, e… Spero tornerai a presto a trovarci!
Puoi contarci, mi sono trovata molto bene. Per cui tornerò, e di sicuro continuerò a leggerti. Ancora grazie Laura.

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