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Speciale FEFF 13 #1

Creato il 30 aprile 2011 da Eda

Il festival di Udine è ufficialmente iniziato e la prima giornata è passata all’insegna di due film cinesi e dell’esperimento di Park Chan-wook. Il proposito è quello di scrivere mini recensione per ogni film visto, sperando di non crollare sulla testiera e trovare una postazione pc libera….enjoy:

Welcome to Shama Town di LI Weiran (China)   **/4
Inizio leggero e divertente per la tredicesima edizione del FEFF con questa black comedy, opera prima del registra Li Weiran. Il sindaco di una sperduta città nel deserto del Gobi, per promuovere il turismo, si inventa un tesoro sepolto da un bandito per attirare investitori e turisti, ma arriveranno solo un gruppo di truffatori con l’intenzione di trovare il tesoro e fuggire; seguiranno ovviamente fraintendimenti e situazioni paradossali a catena. La comicità è tutta giocata sulle situazioni grottesche e paradossali, oltre che sulla commedia slapstick dura e pura che va spesso a segno. Si ride molto mentre la trama, ben gestita, si dipana verso il gran finale in una sorta di Pamplona irresistibile. Sotto la risata però si cela un sospetto di propaganda – o almeno un abbonimento delle autorità – dato che è chiaro il tema del denaro corruttore del popolo, di capitalisti cattivi contrapposti a paesani un po’ ingenui fa fondamentalmente buoni, del lavoro comunitario che supera l’iniziativa personale. Per quanto desertica sia la location, il film è girato con un discreto impiego di mezzi e rappresenta comunque una delle rare possibilità di poter vedere una Cina diversa da Shanghai o Pechino.

Night Fishing di PARKing CHANce (Park Chan-wook-Park Chan-kyong)  (Corea del Sud)   **1/2 /4
Park si conferma grande regista e riesce ad aggiungere qualcosa di sostanzioso al di là del mero superamento della sfida tecnica data dal fatto che il film è tutto girato con un Iphone4. L’impatto iniziale col nuovo formato è disturbante, ma ci si abitua presto e ci si rende conto che la qualità sul grande schermo va al di là delle aspettative. Si può anzi dire che Park sia riuscito a sfruttare a suo favore la limitatezza del mezzo con immagini sgranate e imperfette, soprattutto quelle notturne riescono ad essere spesso inquietanti. Il film, o meglio il mediometraggio – 33 min. – segue un uomo andare di notte sulle rive di un fiume a pescare, finchè non trovare sulla sponda il corpo di una ragazza, scena che mescola bene horror e comicità, la quale inizierà a parlargli della figlia. La pellicola è divisa nettamente in due parti producendo uno spiazzante ribaltamento della prospettiva che conduce ad una seconda parte “sciamanica” suggestiva, soprattutto nell’ultima scena. Park deve chiaramente limitare il suo estetismo ma non mancano comunque trovate geniali e addirittura qualche effetto speciale, realizzati in maniera per forza di cosa artigianale ma con grande inventiva (dove va la vostra attenzione quando il fantasma scompare e riappare? Fateci caso)

The Lost Swordsman di Alan MAK e Felix CHNG (Cina)   *1/2  /4
Al milionesimo adattamento del “Romanzo dei Tre Regni” è dura aggiungere qualcosa di originale e questo film infatti manca del tutto di attrattiva, pur cercando di presentare una prospettiva diversa, quella del guerriero Guan Yun (Corey Yuan, molto meglio dei due IP Man che qui), diviso tra obbedienza al proprio signore e la proposta del generale Cao Cao di riunificare il paese e porre fine alle guerre. In realtà si tratta solamente del solito eroe virtuoso e dal gran cuore, costretto ad uccidere suo malgrado per ragioni contingenti. Ne risulta un film che, nonostante la durata sia nella media – 107 min. – è straordinariamente pesante, sia nelle scene parlate, troppe e troppo letterarie (alla lunga diventa quasi fastidioso il fatto che tutti i personaggi abbiano la battuta pronta e arguta ad ogni conversazione), sia in quelle d’azione, le cui coreografie migliorano con il procedere della pellicola ed hanno un paio di trovate originali, ma alla lunga non appassionano. Aggiungete a ciò la solita sottotrama amorosa, castissima e castrata, oltre le soglie del fastidio, ed avrete un film girato con grandi mezzi ma piatto e per nulla coinvolgente, dietro il quale si cela un sostanziale vuoto di idee.

Floating Lives di NGUYEN Pahn Quang Binh (Vietnam)   *1/2 /4
Tutto quello che vi aspettereste da un film vietnamita qui c’è: povertà, risaie, corsi d’acqua e vegetazione lussureggiante, ma il naturalismo della pellicola si intreccia col melodramma. Il Vietnam è una cinematografia acerba e si vede: la regia è quanto di più convenzionale ci si possa aspettare, oltre ad essere presenti anche un paio di errori di montaggio, la recitazione è carente, ci sono abbozzi di poesia e simbologie facili (il cormorano che cade dal nido) ma le tragedie quotidiane che passano sullo schermo non colpiscono lo spettatore e la storia di questa famiglia a cui manca la figura della madre, a cui sembra poter sopperire una prostituta salvata dal linciaggio, rimane lontana. Interessante il filo conduttore della febbre aviaria (i protagonisti allevano papere) che sembra prospettare ulteriori tragedie per i protagonisti, mentre un erotismo sotterraneo è presente in molte scene della pellicola, trovando quasi un valore aggiunto nella pudicizia del regista (e delle leggi del paese) che non permettono mai di farlo erompere nella sua vitalità tenendolo quindi represso come le vite dei suoi protagonisti.

EDA


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