TITOLO: "Il Segno dell'Untore"
La prima indagine del notaio criminale Niccolò TavernaAUTORE: "Franco Forte" PREZZO: 15,00€DATI: 358p.EDITORE: Mondadori
COLLANA: Omnibus
ISBN: 9788804620150
DATA USCITA: 17 Gennaio 2012
Eccomi con un nuovo speciale dedicato a "Il Segno dell'Untore" il nuovo romanzo di Franco Forte, uscito in tutte le librerie itlaine per la Mondadori il 17 Gennaio scorso... ... primo libro de "Le indagini del notaio criminale Niccolò Taverna", protagonista indiscusso del libro nonché dell'intera serie.Lo speciale di oggi consiste in un intervista di Franco Forte su "Il Segno dell'Untore".
Franco, una storia che appare davvero molto interessante, e forse per te un ritorno al thriller più canonico, per quanto all’interno dell’impianto del romanzo storico che ci hai abituato a costruire così bene.Intervista interessate... voi che dite???Nel salutarvi vi ricordo che "Il Segno dell'Untore" di Franco Forte lo potete trovare in tutte le librerie...
Sì, in effetti “Il segno dell’untore” è una sorta di compendio di tutto ciò che ho imparato scrivendo prima thriller (come “China Killer” e “La stretta del Pitone”) e poi romanzi storici (da “I Bastioni del coraggio” a “Carthago” e “Roma in fiamme”). E mi pare di aver centrato il bersaglio, perché questo personaggio che ho costruito, il notaio criminale Niccolò Taverna, è davvero affascinante e originale, te lo posso garantire.
Giusto, parlaci di lui. Chi è esattamente Niccolò Taverna?
E’ l’equivalente del 1576 di un moderno commissario di polizia. I notai criminali erano i magistrati che a quel tempo a Milano indagavano sui casi di omicidio, sui casi criminali e sulle ruberie, e lo facevano adottando tecniche investigative sorprendentemente moderne, per quanto i loro strumenti più efficaci per trovare i colpevoli fossero l’intuito, l’istinto e l’esperienza. Ma tutto ciò che i miei personaggi fanno, è rigorosamente documentato, e quindi sorprenderà vedere quali tecniche investigative possedevano.
Facci qualche esempio.
Nel romanzo ce ne sono a bizzeffe e, come detto, non si tratta di mie invenzioni, bensì del risultato di un lungo lavoro di ricerca e documentazione che mi ha portato a scoprire come questi funzionari del Tribunale di Giustizia di Milano fossero davvero all’avanguardia, per ciò che atteneva le indagini di polizia. Per esempio, erano soliti portare con sé dei bastoncini con la punta ricoperta di cera, con i quali frugavano fra gli oggetti appartenuti alle vittime di un omicidio, o su ciò che trovavano sul luogo di un delitto. Perché? La nostra mentalità moderna ci spingerebbe a rispondere: per non inquinare le prove. Ma naturalmente, dato che non esistevano analisi scientifiche, a quell’epoca, il motivo è ben altro. I notai criminali usavano quei bastoncini per frugare con sicurezza (secondo le credenze dell’epoca) fra gli oggetti rinvenuti sui luoghi degli omicidi senza rischiare di toccare qualcosa che potesse essere stato infettato dalla peste, che nel 1576 stava decimando la popolazione di Milano. Credevano che se avessero toccato qualcosa imbevuto dell’umore della malattia, questo sarebbe scivolato sulla cera dei loro bastoncini, e con una semplice scrollatina se ne sarebbero liberati, senza rischiare contagi.
Questo mi fa capire quanto sia accurata la ricostruzione che fai di quel periodo storico.
E’ proprio così: nulla è lasciato al caso, e Niccolò Taverna si muove, mentre sviluppa le sue indagini, in una Milano ricostruita perfettamente nella sua coerenza storica, non solo ambientale, ma anche riguardo la vita di tutti i giorni: cosa mangiavano, come si vestivano, quali attività svolgevano le persone in quel preciso momento storico. A emergere, dunque, non è soltanto la storia di un magistrato che indaga sull’uccisione di un inquisitore (e sul furto di un oggetto sacro dal Duomo), ma anche la rappresentazione di un periodo storico molto difficile e per certi versi affascinante della Milano della seconda metà del 1500. La Milano sotto dominazione spagnola che vedeva contrapporsi il potere della Corona di Spagna e della Santa Inquisizione, a essa collegata, a quello del Soglio di Pietro, che vedeva nella figura dell’arcivescovo Carlo Borromeo (che poi diventerà San Carlo) un baluardo di primo piano nel conflitto tra potere secolare e potere temporale.
Ma quanto parte di thriller e di romanzo “giallo” c’è ne “Il segno dell’untore”, rispetto al classico romanzo storico?
Non c’è una prevalenza dell’uno rispetto all’altro, bensì un continuo amalgamarsi e intersecarsi delle due cose. La ricostruzione storica e il respiro sociale e culturale dell’epoca sono da sfondo a un’intricata indagine che deve fare i conti con gli strumenti limitati dell’epoca e la capacità del notaio criminale Niccolò Taverna di risolvere i casi grazie alla sua intelligenza e alla sua esperienza. Ma tutto si muove in armonia con il periodo descritto, rispettando la coerenza che qualsiasi buon romanzo storico richiede, pur offrendo al lettore l’impianto, le emozioni e il ritmo di un thriller attuale e congegnato nei minimi particolari.
Mondadori sta facendo una forte campagna di marketing e di promozione nei confronti di questo romanzo, che apre il 2012 per la collana Omnibus italiani. C’è una strategia precisa, dietro a tutto questo?
Sì, l’editore vuole iniziare il nuovo anno dando un segnale chiaro ai lettori di un grosso mutamento che ci sarà per i rilegati Mondadori. Il mio romanzo è il primo di un nuovo corso studiato con intelligenza, che vuole coniugare un prezzo più aggressivo e abbordabile dal pubblico rispetto al passato (15 euro anziché i soliti 20 euro), senza però svalutare i titoli che saranno presentati, puntando quindi alla massima qualità possibile dei testi da pubblicare. Sono felice di essere un po’ l’apripista di questo nuovo corso, e mi auguro che il mio notaio criminale riesca a farsi apprezzare dal pubblico per continuare a proporre le sue indagini mozzafiato.
C’è qualche collegamento fra questo romanzo e il tuo precedente, “I bastioni del coraggio”, anch’esso ambientato nella Milano del 1500?
Tra le due vicende sono passati trent’anni, e qualche personaggio lo si ritrova ancora ne “Il segno dell’untore”, per quanto non più come protagonista. Per esempio Anita, che ne “I bastioni del coraggio” era una delle eroine del libro, qui è la moglie di Niccolò Taverna, anche se la sua parabola narrativa risulta piuttosto breve. E lo stesso accade per altri personaggi, come per esempio il perfido Inquisitore Generale Guaraldo Giussani, di cui non ci eravamo sbarazzati ne “I bastioni del coraggio”. Un giorno o l’altro scriverò un romanzo che farà da collegamento fra questi due titoli, descrivendo che cosa è successo in quei trent’anni di distacco fra un libro e l’altro.
ALLA PRISSIMA!!!