Speciale Scrittori suicidi: La casa delle belle addormentate - Yasunari Kawabata

Creato il 17 febbraio 2014 da La Stamberga Dei Lettori

Nato a Osaka nel 1899, Yasunari Kawabata si laurea in letteratura a ventiquattro anni, dopo la morte dei genitori, e manifesta subito una notevole sensibilità per le influenze della letteratura occidentale, nel primo periodo in cui l'Impero del Sol Levante si apre anche ai contatti con il mondo esterno. Molto attivo nell'ambito dell'associazionismo letterario giapponese, Kawabata partecipa al movimento neopercezionista che gravitava attorno alla rivista 'Bungei Jidai'.
Autore di raccolte di racconti, tra cui molto noto La danzatrice di Izu scritto nel 1926, scrive moltissimo, anche romanzi, tra cui sicuramente il più noto è Il paese delle nevi, del 1948, in cui racconta la relazione sentimentale tra un facoltoso cittadino di Tokyo e Komako, una elegante geisha, ambientata in una stazione termale di montagna. Questo romanzo si caratterizza per le infinite revisioni cui l'autore lo sottopone, quasi come se il 'non finito' fosse un elemento fondante del suo stile e della sua prosa.
Caratterizzate da accenti scarni e da uno stile molto sobrio, quasi distaccato, le opere di Kawabata riescono a coniugare insieme uno stilema basilare del '900 occidentale per il romanzo come il flusso di coscienza a una profonda consapevolezza delle sue radici nipponiche, individuate soprattutto nel buddhismo zen, di cui lo scrittore è fervente seguace e da cui deriva la semplice bellezza ornamentale dei suoi scritti.
Nel 1968, l'anno in cui nasce la contestazione internazionale, riceve il Premio Nobel per la letteratura, primo cittadino giapponese, e nel famoso discorso di accettazione spiega il complesso rapporto che vincola la sua opera alle profondità della filosofia zen e alle radici della cultura nipponica, anche in manifestazioni come l'ikebana, la struttura dei giardini e la calligrafia.
Il suicidio, per quanto negato da parte di amici e familiari, arriva nel 1972, quando Kawabata si uccide lasciando aperto il rubinetto del gas durante un bagno, a seguito della scoperta di avere sviluppato il morbo di Parkinson e soprattutto per il legame con lo scrittore Yukio Mishima, di cui era profondo ammiratore e amico, e dalla cui scelta di togliersi la vita nel 1970, con un gesto di protesta plateale, era rimasto tanto turbato da sognarne ripetute volte la morte. Tra i suoi titoli più importanti ricordiamo, a scopo meramente esemplare, Il maestro di go, Mille gru, La banda di Asakusa e Immagini di cristallo.


Il vecchio Eguchi, su consiglio di un amico, si reca in uno strano postribolo dove i clienti, tutti anziani, possono trascorrere la notte con giovanissime donne addormentate da un potente narcotico. I frequentatori della casa devono sottostare ad una regola ben precisa: non possono svegliare né molestare le belle dormienti per nessun motivo.
Eguchi, cui la vecchiaia non ha ancora tolto le proprie facoltà sessuali, viene più volte preso dalla tentazione di infrangere il divieto, destando le ragazze o facendo loro violenza, ma ogni volta desiste dai suoi propositi. Si limita così a toccare la fresca pelle delle giovani, in un contatto che gli trasmette energia vitale e al contempo lo spinge a riflettere sull'inesorabile avvicinamento della morte. La magia di quei corpi di donna addormentati induce questo signore rispettabile a ritornare più volte in quel luogo, ma un evento tristemente prosaico cancella ogni traccia di poesia e riporta il vecchio alla desolante realtà.
Ogni volta che riposa accanto ad una ragazza, il protagonista viene assalito da un fiotto di ricordi, che lo riportano ora alle sue passate esperienze sentimentali, ora al suo rapporto con la sua ultima figlia, ora a sua madre. Sono visioni intrise di una forte carica onirica, a tratti filtrate dal dormiveglia, che scaturiscono dalla contemplazione delle ragazze, il cui corpo nudo viene descritto fin nei minimi dettagli.
E come spesso accade nel rapporto tra i meccanismi del desiderio e la complessità della psiche umana, la conclusione non può che essere, in qualche modo, tragica.

Recensione

Nel 1961, quando scrisse La casa delle belle addormentate, Kawabata aveva già sessantadue anni e in definitiva per età era molto vicino al vecchio protagonista del suo romanzo -o meglio del suo racconto molto lungo-, Eguchi.

Ormai anziano, sulle soglie della vecchiaia ma non ancora decrepito, questo distinto signore, che viene da una condizione di vita agiata, viene a sapere tramite conoscenze di una nuova forma di divertimento: esiste a Tokyo una casa d'appuntamenti in cui i clienti, vecchi come lui, vanno per addormentarsi al fianco di giovani ragazze vergini, che li aspettano nude e immerse in un sonno causato da barbiturici sotto la trapunta, nel tatami.
Questa suona già come una stranezza per l'erotismo occidentale, ma il punto ancora più esotico è che anche il cliente dovrà assumere dei sonniferi e dunque addormentarsi profondamente accanto alla fanciulla, senza che vi sia alcun contatto fisico e neanche che questa possa rendersi conto di alcunché. Al mattino dopo, il cliente viene svegliato dalle inservienti della casa e deve andarsene prima che la ragazza si svegli.
Dunque tra i due non solo non possono esserci rapporti sessuali, ma la donna non deve neppure avere la minima idea di chi abbia trascorso la notte nel letto con lei. Questa forma estrema di pudore associata a un senso del piacere così sottile e torbido insieme, così fisico, perché è legato alla vicinanza e alla condivisione di uno stato indifeso come il sonno, e insieme cerebrale dal momento che si rivolge solo all'interno dell'animo di Eguchi, è il lato più affascinante della trama e insieme il punto di partenza per un viaggio, sospeso tra sogno e realtà, nei ricordi di una vita, quasi ala ricerca di un bilancio, di tirare le somme di una vicenda.
Dopo la prima visita, nella quale un incubo in cui una delle sue figlie partorisce un essere mostruoso gli turba il sonno, Eguchi si scopre fortemente attratto dalla locanda delle bambole addormentate e dal sonno riscaldato da una presenza muta e inerte. Ogni volta che vi ritorna ricorda qualche episodio della sua vita passata, e anche se l'unico modo in cui sappiamo qualcosa di lui è attraverso queste memorie notturne, quasi dei racconti fatti a se stesso per ispirazione delle ragazze, emerge il ritratto, fatto di frammenti e sogni, di un signore di buona società, che ha avuto una vita piena e di successo, soddisfacente secondo i canoni della società in cui vive, con una famiglia e dei nipoti, con avventure amorose, ormai alle soglie della vecchiaia ma ancora energico e irrequieto nei confronti del futuro.
Proprio di fronte a questa condizione di passaggio, in cui si sente più vicino alla morte, l'inquietudine lo spinge a soddisfare la curiosità per un'esperienza proibita e insieme innocente come la casa delle belle addormentate.
Improvvisamente tornare al passato attraverso la pelle, gli odori e i sogni di ragazze sconosciute e indifese diventa un gioco, da cui Eguchi sembra non sapersi distogliere, minacciando più volte scherzosamente di romperne le regole, svegliando le ragazze o compiendo qualche atto contro la loro volontà dormiente.
Tuttavia questo si rivela gradatamente essere solo un desiderio teorico, quasi un dispetto puerile per la malinconia che lo assale durante le notti trascorse in quella casa, insieme a spettri che emergono dalle nebbie del sonno: il ricordo di un gita insieme alla figlia più piccola che gli annuncia di non volersi sposare con il fidanzato che l'aveva compromessa; una relazione con una donna sposata, durata appena una decina di giorni, durante un soggiorno lavorativo a Kobe; altre immagini dall'infanzia e dalla giovinezza fino alla maturità che compongono il ritratto di un uomo che ha vissuto senza troppi rimpianti ma forse con eccessivo distacco e si sente solo di fronte alla vecchiaia e al passo successivo, la morte.

Dunque la presenza delle ragazze addormentate, di cui l'autore descrive con moltissimi dettagli ogni caratteristica fisica, classificandole come esperte, calde o ingenue, diventa quasi un feticcio che aiuta Eguchi a ritrovare i suoi ricordi e a sopportare il freddo della solitudine.

Così anche il rapporto umano che sembra quasi instaurarsi con la tenutaria della locanda, preoccupata soprattutto dalla discrezione di tutta la faccenda e dal sorvegliare che i suoi anziani clienti non passino i limiti stabiliti dagli accordi. Nel freddo delle noti colme di desideri senili, questa donna accoglie Eguchi in un giardino in cui le foglie degli aceri cadute sul terreno sembrano simboleggiare l'arrivo dell'autunno della vita e provvede a dare un'accoglienza decorosa ai rispettabili ospiti, preparando il te e discutendo amabilmente ma sempre con il pensiero rivolto alla decenza della situazione.

Il protagonista sembra divertirsi a stuzzicarne la sensibilità, da un lato rivendicando di non essere ancora un vecchio decrepito, dall'altro provando a forzarne la riservatezza con strane richieste, oppure ricordando l'episodio di un vecchio conoscente, Fukura, che, morto mentre dormiva sotto sonniferi nella casa, era stato spostato altrove per evitare uno scandalo.
Il gioco continuo pare aiutarlo a esorcizzare la paura della morte, quasi sfidandola con sonniferi sempre più forti, come se controllare il sonno in compagnia delle ragazze addormentate diventi un modo per rivivere la propria vita e allontanare il momento della morte.

Solo alla fine, quando la morte nel sonno di una di quelle giovani donne lo coglie di sorpresa, Eguchi realizza che in quel gioco lui è destinato comunque a perdere.

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: La casa delle belle addormentate
  • Titolo originale: Nemureru bijo
  • Autore: Yasunari Kawabata
  • Traduttore: Mario Teti
  • Editore: SE Edizioni
  • Data di Pubblicazione: 1972
  • Collana: Biblioteca dell'eros
  • ISBN-13: 9788866210429
  • Pagine: 119
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 15,00

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