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SPEEDFEST – 21.11.2015, Eindhoven

Creato il 04 dicembre 2015 da Cicciorusso

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È una formazione titolatissima quella che presiede alla decima edizione dello Speedfest in terra d’Olanda. Io e il Conte Max portiamo a casa un incredibile triplete per quello che riguarda i festival esteri nell’anno solare 2015 ed Enrico fa lo stesso, sebbene del Desertfest e di Glastonbury abbia deciso di non raccontare nulla a voi affezionati lettori. I tristemente noti fatti di Parigi e l’allerta generale che ne è seguita hanno fatto sì che alla partenza l’umore non fosse euforico come converrebbe all’occasione e il programma stesso del festival ha dovuto subire qualche aggiustamento dopo l’inevitabile cancellazione del tour da parte degli Eagles Of Death Metal, ai quali era stato affidato lo slot principale della manifestazione. Come se ciò non bastasse, io ho una gamba che sembra un döner kebab a causa di un’uscita killer del portiere avversario ad un torneo di calcetto della sera precedente; zoppico vistosamente ma mi illudo che l’infermità mi procurerà le attenzioni delle infermierine gotiche olandesi che di sicuro presenzieranno al festival in maniera massiccia.

Alla fine, nonostante tutto, la mattina di venerdì ci si ritrova in aeroporto per una breve fuga con l’obiettivo di fare una di quelle poche cose che dà un senso alle nostre altrimenti squallide esistenze. Arriviamo nel pomeriggio ed abbiamo una serata libera. Il sempre informatissimo Enrico (il KGB dei concerti europei) ci porta a vedere gli Stranglers che suonano ad un posto a cinquanta metri da dove abbiamo cenato, gran bel concerto che ci permette di entrare nella giusta disposizione d’animo per il giorno seguente. Fin dalle prime ore del sabato mattina il conte fa presente in maniera insistente che lui non ha alcuna intenzione di perdersi lo show degli Avatarium che suonano nel primo pomeriggio e che quindi non ci possiamo permettere di arrivare tardi; il concetto viene ripetuto così tante volte che sembra quasi che la sua intera esistenza dipenda esclusivamente dalla partecipazione a questo concerto. A dir la verità non è che ad Eindhoven ci sia troppo da fare e quindi, dopo aver comprato regalini per bimbi e nipoti, intorno all’ora di pranzo ci troviamo in fila ai cancelli del locale dal nome impronunciabile in cui si svolge il tutto (Klokgebouw).

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Il posto è molto fico: tre palchi grandi, un’ampia sala cibo & disco. Unico problema forse sono i cessi che nel corso della giornata assumeranno un aspetto via via sempre più ripugnante. Una cosa evidente fin dai primi minuti è che siamo in presenza della più grande concentrazione al mondo di gente con i giacchetti della Turbojugend, i Turbonegro però non fanno parte del programma e quindi ci deve essere qualche tipo di connessione che a noi sfugge, la band norvegese ha suonato in varie delle edizioni passate ma più di questo non ci è dato sapere. Si inizia presto con i Bask, gruppo di pischelli mai coperto. Mi piacciono parecchio e più tardi avrò modo di scambiare due chiacchiere con il cantante e comprargli il disco (American Hollow). Il tipo è molto ben preso dal mio entusiasmo e allora mi prepara un bel pacchetto regalo con spillette, adesivi e gadget di ogni sorta. Vedo troppo poco degli Honeymoon Disease per farmi un idea precisa, l’unica cosa che noto è che ne fa parte una tipa con tatuaggi che imbraccia una Flying V. In senso assoluto quindi sono già promossi. Sono le due e mezza finalmente il conte potrà saziarsi della sua primordiale sete di Avatarium, side-project di Leif Edling dei Candlemass con la solita strappona bionda alla voce. La signora si presenta con una palandrana che non ha granché di esoterico e Edling in realtà non è presente e viene sostituito sul palco da un barbone a caso rimediato per strada. Buono show ma eccessivamente corto, anche solo un quarto d’ora in più sarebbe stato apprezzato.

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A cavallo tra la fine dei ‘90 e primi 2000 io come molti altri ero in fissa con tutti i gruppi r’n’r scandinavi ma mai con i Backyard Babies, di cui non ho mai gradito molto la deriva sleazy. Dato che ci siamo, però me li vedo, fanno del loro ma nulla più, trovo che abbiano qualcosa di un po’ troppo parruccato. Il chitarrista poi fa orrore a vedersi con il suo aspetto da bagascia con paresi facciale da abuso di nicotina. Si sono fatte le cinque di pomeriggio e fino ad ora abbiamo giocato, ora però si comincia con la roba seria per quella che sarà una tirata ininterrotta che andrà avanti per varie ore. La sessione atomica inizia con i Mondo Generator. Nick Oliveri è l’esatto contrario del poserismo di cui sopra. Il badass per eccellenza è oggi coadiuvato dall’axeman di John Garcia e un batterista non meglio identificato: scaletta bilanciata fra la roba sua, pezzi dei QOTSA e qualcosa pure dei Kyuss. Green Machine fa scattare il panico e scappare via la roscia spettacolare che mi stava accanto e che mi sarei sicuramente trombato da lì a dieci minuti, che peccato. Un salto veloce dai connazionali Giuda che qui suonano davanti ad un sacco di gente e io mi chiedo come mai non li abbia mai visti prima nonostante siano della mia città ma c’è poco tempo per fare i patrioti che il cartellone è senza respiro e sul palco grande stanno per iniziare gli Obituary. Non sono tra i più esperti del genere ma mi sembra la loro sia una prova grandiosa: riffoni ultra heavy, ritmica quadratissima, volumi sparati ai limiti del lecito, finale con Don’t Care e Slowly We Rot. Bolgia vera. Neanche dieci minuti e vai con i Napalm Death. Al Roadburn anni fa fecero per l’occasione uno show particolare incentrato su roba un po’ più lenta, stasera invece vanno senza freni e sono una cosa allucinante, la reputazione che hanno non gliel’ha regalata nessuno. Con mio fratello scambiamo un paio di considerazioni tipo; “pensa portare mamma qui, cosa potrebbe pensare?” e “conta che al concerto di Guccini si era lamentata che il volume era un po’alto”. Grasse risate alle spalle dei propri genitori con Suffer The Children in sottofondo, alle volte la vita può essere meravigliosa.

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Ancora una volta solo il tempo di passare da una sala all’altra e prendere un birrino al volo che tocca agli High On Fire e io non posso certo perderne neanche un minuto. Matt Pike è un figurino, beh quasi, diciamo che non sembra incinto al nono mese di due gemelli. Sfodera pure un bel paio di baffoni a manubrio che gli donano quel tocco di classe lemmyana in più. Quando hai stile c’è poco da fare. Molto bello il momento in cui fa partire una smocciolata verde che gli rimane appesa ai peli sulla faccia: la cosa non lo turba affatto e continua a suonare con nonchalance. Che finezza di uomo, non lo meritiamo uno così. Gli High On Fire sono unici, non ci sono molte altre band che possiedano un assalto del genere e riescano allo stesso tempo a sommergerti nel suono in maniera così trascendentale. Vederli dal vivo lo esemplifica bene, in relazione al casino che fanno non è che ci sia chissà che pogo sotto al palco, è perché ti immobilizzano, è che lì sotto stavamo tutti incollati a guardarli con la bocca aperta il dito nel naso. Forse parlo da tifoso ma per me i migliori del lotto odierno. Posto davanti all’unico vero dilemma della giornata il trio si scinde fra chi decide di andare ai Carcass e chi ai Voivod. Io voto per i canadesi nonostante li abbia già visti un buon numero di volte ma, si sa, al cuor non si comanda. A pensarci bene è proprio per quello che non ho voglia di rinunciarci, so bene che spettacolo facciano e non posso permettermi di perderli. Ovviamente non deludono neanche stavolta. VOI-VOD-VOI-VOD-VOI-VOD: faccio scattare il coretto tipo invasato non appena salgono sul palco, noi siamo i soliti fan esagitati e loro la solita roba di un altro mondo. L’unica recensione sensata sarebbe fare una sfilza di cuoricini, ma non ho ancora capito come si fanno. Chiudono con Voivod il brano e sento di stare esaurendo le forze, per me il festival potrebbe pure finire qui ed in un certo senso è così.

Prendo la prima piccola pausa dopo parecchie ore per far riposare quel cotechino che ho al posto della gamba destra, ingerisco una pizza con salame piccante di dubbia qualità e faccio parecchia fatica a rialzarmi. Perdiamo Danko Jones (un grosso sticazzi) e si fa l’ennesimo sforzo per vedere i Refused. Enrico sicuramente potrebbe argomentare meglio essendo uno dei più grossi esperti mondiali in materia, io mi limito a dire che hanno una presenza scenica non comune e mi sono piaciuti parecchio. Poco dopo mezzanotte, all’orario in cui si sarebbero dovuti esibire gli Eagles Of Death Metal, il cantante dei Peter Pan Speedrock, glorie locali e ospiti della manifestazione, chiama a raccolta i presenti per un minuto di silenzio. E’ capitato di farlo allo stadio, al lavoro e in varie occasioni pubbliche ma mai in una situazione del genere, purtroppo c’è sempre una prima volta. Esperienza piuttosto straniante ma in fondo anche giusto perché the show must go on e tutto il resto ma insomma, non lo so. Vi risparmio le mie inutili considerazioni perché come diceva il grande ispettore Callahan “le opinioni sono come il buco del culo, ognuno ha il suo”. Grezzi e cazzoni i PPS prendono il palco, dopo una mezz’ora ci guardiamo tutti e tre in faccia e decidiamo che abbiamo dato e possiamo anche chiudere qui. Una bella camminata di venti minuti nel freddo gelido nordeuropeo e guadagniamo il meritato letto. Triplete conquistato con onore sul campo. Peace, Love, Death Metal. (Stefano Greco)



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