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Speranze per una pace giusta e prospera in Bosnia ed Erzegovina
Creato il 05 giugno 2015 da Gaetano63di Gaetano Vallini«Questo Paese, dopo la dura e sanguinosa guerra, non è ancora guarito dalle ferite profonde. Anche se il conflitto si è fermato, non si è creato uno stato di diritto in grado di difendere ogni identità personale, religiosa ed etnica. Le grandi potenze che avevano imposto gli Accordi di Dayton hanno lasciato ai politici locali l’incarico di costruire il futuro; ma questi sono rimasti solo osservatori. Ciò non potrà mai portare a una pace stabile, giusta e prospera». Non mostra troppo ottimismo il cardinale Vinko Puljić, arcivescovo di Vrhbosna, Sarajevo, presentando la situazione della Bosnia ed Erzegovina. Ma speranza sì, tanta. Una speranza che oggi ha il volto di Papa Francesco. Dopo l’Albania, con il viaggio a Tirana, il Pontefice ha infatti scelto nuovamente di entrare in Europa da un’altra periferia, da un altro Paese balcanico in cui i musulmani sono il 40 per cento della popolazione. Domani, sabato, sarà proprio a Sarajevo, città con una storia recente drammatica, dilaniata da quasi quattro anni di guerra tra il 1992 e il 1996, stretta in un lungo e sanguinoso assedio, alla cui fine si contarono dodicimila morti e cinquantamila feriti. «L’annuncio della visita — spiega il porporato — ha posto la Bosnia ed Erzegovina al centro dell’attenzione dei media mondiali. In tal modo i politici nazionali ed esteri hanno iniziato seriamente a interessarsi a questo Paese e a cercare soluzioni. Perciò la gente comune è molto grata al Papa per il gesto di dedizione paterna, che si manifesterà con la sua visita come pellegrino di pace e sostenitore del dialogo».Quando diciotto anni fa Giovanni Paolo ii riuscì finalmente a compiere il suo viaggio a Sarajevo, le ferite della guerra — che era costata la vita a quasi centomila persone e che aveva riportato in Europa la vergogna della pulizia etnica — erano ancora aperte. Cosa resta di quel tragico conflitto e cosa si può fare per superarlo definitivamente?
Papa Wojtyła ha portato un messaggio di speranza e di incoraggiamento: il bene può vincere e deve sconfiggere tutti i mali. La sua visita e la sua parola paterna sono stati come un balsamo sulle ferite. Ed era necessario sanare le tante ferite causate nelle nostre vite dalla guerra. Il suo invito al perdono e alla riconciliazione resta un programma di dialogo, di convivenza e di tolleranza tuttora valido. I potenti del mondo, nei loro discorsi pubblici, hanno parlato di pace e di parità dei diritti ma in realtà hanno creato un clima in cui vige la legge del più forte. Per questo i messaggi del Pontefice costituiscono sempre un baluardo e un invito a continuare a impegnarsi per la costruzione della pace fondata su principi di parità dei diritti. Il Paese sta vivendo un momento particolarmente difficile: profonda crisi economica, disoccupazione altissima, mancanza di prospettive, fuga dei giovani all’estero. Una sfida anche per la Chiesa. Come viene affrontata?
Questo Paese ha meravigliose risorse naturali, ma non ha sviluppo economico né leggi stabili. Né i politici locali né i leader internazionali si preoccupano di favorire lo sviluppo imprenditoriale e la creazione di posti di lavoro. E così molti giovani vanno via. Alcuni Paesi li accolgono volentieri perché sono persone preparate, per la cui formazione non hanno fatto alcun investimento. La Chiesa ritiene che la cosa più preziosa sia investire proprio sui giovani. Per questo abbiamo aperto le cosiddette Scuole per l’Europa. Vogliamo soprattutto infondere loro il coraggio di affrontare le sfide della vita quotidiana. Attraverso l’attività caritativa forniamo invece l’aiuto più immediato in particolare agli anziani e agli infermi; mentre con l’apertura di asili aiutiamo i genitori che lavorano.A Sarajevo in poche centinaia di metri si trovano la cattedrale cattolica, quella ortodossa, la moschea e la sinagoga. Definita la Gerusalemme dell’Europa, per secoli questa città è stata esempio di convivenza pacifica. Qual è la situazione oggi?
Viviamo ancora oggi insieme nella stessa città, ma i cattolici, che sono una minoranza, non godono degli stessi diritti, che qui sono legati all’appartenenza etnica. Siccome i cattolici sono in gran parte croati, i loro diritti dipendono da quelli garantiti a questa etnia. Vige la regola della maggioranza, che non offre alla minoranza una garanzia capace di rimuovere tutte le paure. Ciò non dipende dalle comunità religiose, ma dalla politica, da chi è al Governo e dovrebbe garantire la sicurezza di ogni cittadino a tutti i livelli. La Chiesa cattolica costantemente ricorda questa realtà. Tuttavia l’ingiustizia non viene corretta, anzi la si rende più acuta. Purtroppo se le cose dovessero continuare così rimarranno solo gli edifici a testimoniare che qui siamo vissuti nella diversità. La gente se ne andrà. Lei a febbraio ha incontrato il gran mufti. Come sono i rapporti con i musulmani e qual è la posizione della comunità locale nei confronti del fondamentalismo islamico?
In realtà ci incontriamo spesso per discutere su diversi problemi. I leader musulmani partecipano regolarmente al processo di dialogo, ma non è semplice comunicare con la base per creare un atteggiamento di stima e di rispetto delle diverse identità. Quanto al fondamentalismo, l’attuale gran mufti ha rilasciato una dichiarazione molto energica, affermando che lo Stato deve revocare la cittadinanza a quanti vanno in guerra a fianco dei terroristi. La maggior parte dei musulmani in Bosnia non è dalla parte del terrorismo, tuttavia è apparso un gruppo che si è schierato in forma organizzata con il fondamentalismo. Le autorità dello Stato stanno cercando di tenerlo sotto controllo.E come procede il dialogo con gli ortodossi?
Con la Chiesa ortodossa abbiamo incontri speciali in occasione della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Alcuni anni fa i vescovi cattolici e ortodossi hanno rivolto insieme messaggi al popolo. Ultimamente l’impegno è venuto a mancare. In ogni caso al consiglio interreligioso, in cui lavorano insieme tutti i capi delle quattro chiese tradizionali e delle comunità religiose, partecipa anche la Chiesa ortodossa. Uno di noi, ogni anno, presiede il consiglio; negli incontri annuali discutiamo di temi comuni. In questo lavoro ci affiancano anche alcuni collaboratori che operano in modo permanente, portando avanti singoli progetti. Si organizzano incontri di studenti di teologia, lavori con i giovani, con i bambini e con gli insegnanti di religione, e così via.Dal 1991 il numero dei cattolici nel Paese si è quasi dimezzato. Oggi sono il 15 per cento della popolazione. Quale Chiesa incontrerà Francesco? E cosa ci si attende da lui?
Sinceramente siamo pieni di gioia per la visita del Papa che viene come pellegrino di pace. Con la sua visita indirizza a tutto il mondo il messaggio che qui a Sarajevo vivono cattolici che le dinamiche internazionali hanno reso quasi prigionieri. Il mondo scoprirà che la Chiesa, anche se molta ferita, è ancora viva e svolge la sua missione di testimone di fede e di speranza. Qui i cattolici sono come un ponte tra oriente e occidente. Il vescovo di Roma, con la sua presenza, sarà di incoraggiamento per l’unità della Chiesa e di impulso per un più gioioso annuncio e testimonianza del Vangelo.(©L'Osservatore Romano – 6 giugno 2015)Tre presidentiAnche se la guerra è finita 20 anni fa, in Bosnia ed Erzegovina è ancora in vigore l’«Accordo quadro generale per la pace», stipulato nella base militare statunitense di Dayton il 21 novembre 1995 e firmato a Parigi il 14 dicembre 1995. L’allegato 4 del suddetto Accordo ne è la base costituzionale. Con l’intesa il Paese — in cui vivono tre popoli, bosgnacchi, croati e serbi — è stato costituito in due entità, la Repubblica Serba e la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, più il Distretto di Brčko. Si tratta di una composizione in gran parte basata sulle conquiste prodotte durante la guerra. La Presidenza collegiale è composta da tre esponenti dei tre gruppi etnici maggioritari, con la presidenza di turno a rotazione. Al fianco delle istituzioni locali federali vi è la figura dell’Alto commissario, istituita a seguito degli Accordi di Dayton. L’Alto commissario, i cui poteri si estendono anche in alcuni ambiti dell’esecutivo, è nominato dal Consiglio per l’attuazione della pace, organo preposto all’attuazione degli Accordi di Dayton. Secondo i dati finora disponibili del censimento del 2013, la Bosnia ed Erzegovina ha circa 3.800.000 abitanti: i bosgnacchi sono il 48 per cento della popolazione; i serbi il 37,1; i croati il 14,3 e lo 0,6 per cento appartiene ad altre etnie. Secondo i dati della Chiesa cattolica, in Bosnia ed Erzegovina nel 1991 c’erano 835.000 cattolici, soprattutto croati; attualmente, secondo le statistiche relative al 2014 sono poco più di 420.000, ovvero il 15 per cento della popolazione (i musulmani rappresentano invece il 40 e gli ortodossi il 31 per cento).(©L'Osservatore Romano – 6 giugno 2015)
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