Spiderman: La morte di Jean De Wolff.

Creato il 21 agosto 2012 da Paradisiartificiali

Marvel-Gold Brossura., 168 pp., col. 15€

Ci va giù pesante, il buon Grassi nel presentare questo volume come una saga fondamentale nella cronologia dell' Uomo- Ragno o addirittura come importante ulteriore evoluzione del fumetto supereroistico americano. Niente da dire sullo scrittore Peter David, uno che sicuramente si è fatto notare proprio sulle pagine Spiderman, e non lo ringrazieremo mai abbastanza per la sua X-Factor o il suo Hulk.
 La  parentesi (David) sul tessiragnatele tinteggiò di sano, grigio cemento le sue avventure, amplificandone la componente metropolitana, ingredietne che dovrebbe essere alla base delle storie di personaggi come Spiderman, Daredevil o il Punitore.
C'è poco da dire Spiderman è un eroe da strada: sventare scippi, stupri e rapine, qualche suicidio e magari tirare giù qualche gattino dagli alberi, di questo si dovrebbe leggere nei suoi fumetti, I Vendicatori, la Fondazione Futuro, Mesfisto...questo robe, queste parentesi, non è fumetto, è merchindising studiato a tavolino, brutto e fuori luogo.
Tornando al buon David, chissà poi se il cognome è Peter o David...non solo, ma aggiunse durante la sua RUN, nuovi limiti al concetto di superoe con superproblemi: i sempre pressanti problemi economici, la frattura con la zia May, l'incendio della casa per mano di alcuni teppsiti del quartiere, insomma tra le righe di Peter David, il signor Parker ha vissuto in periodo abbastanza stressante.
La morte di Jean De Wolff  è molto metropolitana, eppure non è sta perla rara che il buon Grassi o il solito blog troppo clemente con le pubblicazioni Marvel, vogliono farvi credere.

Autopsia del Mangia-peccati e di un aspirante Thriller
Ho notato, sia negli editoriali di Lupoi ai tempi Star Comics, che in quelli di Grassi nel recentissimo Marvel Gold, che nel presentare la miniserie, o ancora i redattori di Comicus, tanto per citare uno dei tanti blog molte volte troppo generosi nei commenti (IMHO), focalizzano l'attenzione del lettore su alcuni aspetti della miniserie che si possono trovare appetibili...con una certa fantasia, ed una determinata predisposizione a stupirsi facilmente.
Tra tutti il presunto e mai ben identificato, taglio cinematografico della miniserie, sublimato dal fatto, che tutti i numeri si concludono con un riquadro nero con le scritte in bianco centrate come fossero i titoli di coda di un film: beh concedetemi un bel   Me co%#*oni!
In realtà invece La morte di Jean De Wolff appare parecchio lacunosa, e ad una attenta lettura, la trama  ha più fori che le vittime delle schioppettate dell'assassino, e non solo perchè si presenta ai lettori del 2012 con tutti i limiti della sua anacronisticità, la prima parte è del 1985, ma fondamentalmente perchè oltre a qualche colpo di scena, che tra l'altro ormai, dopo più di 20 anni dalla prima pubblicazione in Italia,  tale non è più, ed ai dialoghi decisamente, azzeccati non offre nient'altro.

La miniserie si apre con il ritrovamento del cadavere del Capitano di polizia De Wolff, uccisa e strano a dirsi ancora non risorta, da un sedicente assassino, il Mangia-Peccati, il classico maniaco che riconduce alla volonà di Dio i suoi atti omicidi.
Co-protagonisti della saga, il detective Stan Carter, incaricato delle indagini, e Daredevil che si ritrova coinvolto nella caccia per via del fatto che una delle vittime è stato il suo mentore durante gli studi di legge.
Il racconto nonostante il delizioso lavoro svolto dallo scrittore per quel che riguarda i dialoghi e la sceneggiatura, e nonostante le generose ed apprezzabili tavole di Rich Buckler, perde da morire sullo sviluppo della psicologia dei personaggi fondamentale in una storia del genere.
Il ritmo che si mantiene costante ed appassionante nei primi due capitoli, capitombola poi frettolosamente verso la fine, forse per esigenze editoriali, sacrificando con eccessiva superficialità le motivazioni delle uccisioni, o il background del cattivo di turno.
L'architettura della storia è collaudata: Il fanatico (il Mangia-peccati), lo sbirro buono (Devil) e lo sbirro cattivo (l'Uomo Ragno), eppure se è verò come dicono i sostenitori di questo volume che vi terrà inchiodati alla poltrona io mi sento di aggiungere che vi ci terrà incollati almeno finchè qualcuno non verrà a svegliarvi.
Sono dell'opinione che un fumetto (ma la regola vale anche per un film o un libro), deve catturare il lettore fino ad un certo livello, deve trascinarlo nelle pagine ma senza concedergli la possibilità di vedere dietro le quinte, dove si preparano gli attori o se volete dove si muovono gli ingranaggi.
Una buona storia è come un buon trucco di magia, funziona se non riuscite ad immaginare quale sia il trucco,  funziona solo se meraviglia,  solo se il piacere dello stupore supera e rende superflua la voglia di svelarne i segreti.
Una buona storia blocca il lettore sulla pagina, e non lo trascina al suo interno tra gli spazi bianchi, dove tutto diventa prevedibile e scontato, uno chef non vi rivelerà mai l'ingrediente segreto che rende quella ricetta più buona delle altre, anche se è identica, questo se volete è il grosso handicap della prima parte della saga del Mangia-peccati ( e pure della seconda!). Manca l'ingrediente segreto e la ricetta,  la struttura non è diversa da mille altri media simili, immaginando una linea temporale, La morte di Jean De Wolff, si colloca una decina d'anni prima del re dei thriller polizieschi cinematografici (Seven), e qualche anno dopo uno di quelli della carta stampata: I delitti della terza luna di Thomas Harris.
In questi però la magia funziona, cattura, intriga, la storia scorre in funzione dei personaggi e non il contrario.
La miniserie di David è scontata, i personaggi sono svuotati della loro personalità e sono ridotti mattoncini che disegnano la linearità di un domino che l'autore decide di far cadere troppo velocemente.
Senza parlare del Mangia-peccati, personaggio intrigante solo nei pronostici soggettivi che nascono durante lettura,   e che la frettolosità con cui David si adopera a chiudere la miniserie svuota di qualsiasi potenziale accattivante contenuto.
90 pagine o giù di lì, in cui salvo solo il primo adrenalinico incontro-scontro tra Parker e l'assassino psicotico, ma sopratutto i dialoghi, che nonostante risentano degli anni in cui sono stati scritti (...anni di che poi? quelli sono anche gli anni di Watchmen), sono abbastanza coerenti con le location della storia, molto poliziesco con ciambella e caffè lungo, insomma.
Ma che per tante superficialità non merita di essere tenuta in considerazione. Non a quel prezzo comunque.
Deludente anche il ritorno del Mangia-peccati, seconda parte del volume , in cui l'autore rifacendosi alla cara vecchia schizofrenia, ci reintroduce l'alter ego sdoppiato dal killer, ridotto stavolta ad una voce nella testa, purtroppo anche in questo caso potenzialità delle soluzioni scelte sono inversamente proporzionali ai risultati ottenuti, del ritorno del Mangia-peccati si salvano solo le matite di Sal Buscema, artista che per un certo periodo di tempo ha stupendamente curato la testata di spidey,  e, nel mio caso, attuendo la mia nostalgia per lo spigoloso Ron Frenz.
Voto finale: evitate se potete, e se proprio volete leggere di uno psicopatico come si deve in casa Marvel rimediate, la miniserie Foolkiller di Steve Gerber, apparsa anni fa sulle pagine del Punitore Star Comics, violento e delizioso fumetto in cui si assiste al ritorno dell' Insanicida, un vigilante che ammazza secondo un proprio contorto codice morale, miniserie in cui Gerber lavora parecchio sull'aspetto psicologico del personaggio, regalandoci una minisaga ben concepita e decisamente cool e metropolitana, altamente godibile nonostante i disegni a volte troppo sempliciotti di J.J. Birch.
Baci ai pupi.

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