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Spiegare Oslo: paura, bricolage e millefoglie

Creato il 26 luglio 2011 da Alphaville

Potete chiamarla convergenza di catastrofi, inveramento della Prima Legge di Murphy o semplicemente sfiga: fatto sta che mentre Oslo era sossopra io ero praticamente isolata dal mondo e impossibilitata a farmi un quadro preciso della situazione.

Rientrata nella c.d. civiltà, sto seguendo l’evolversi della vicenda — cosa che mi riesce abbastanza bene anche grazie ai geniacci della rete come UMT e Martinez.

Il punto centrale, a mio avviso, è che siamo così abituati alle etichette che, quando succede qualcosa come quello che è successo ad Oslo, le nostre categorie mentali non sono più sufficienti a contenere lo sgomento. E poiché l’essere umano ha bisogno di razionalizzare come dell’aria che respira, si spiegano le molte e fantasiose ricostruzioni che giornalisti e opinionisti d’ogni razza e colore elaborano a getto continuo.

Da quello che ho potuto capire io, direi che in Breivik c’è un po’ di tutto: anticomunismo, islamofobia, xenofobia, fanatismo religioso, suprematismo bianco e identitarismo in varia misura, shakerati in un mix certamente esplosivo che pure è possibile rinvenire in larga parte dell’umanità occidentale contemporanea — Borghezio docet (anche mia zia la pensa allo stesso modo, religione a parte, ma non farebbe male a una mosca).

Ma, soprattutto, in Breivik c’è la paura: quel tipo particolare di paura dell’altro-da-sé che è poi la spia di un disagio esistenziale profondo e oggi assai diffuso — mentre il mondo strutturato (retaggio degli ultimi secoli) si liquefa, l’uomo, che in quanto animale sociale è necessariamente un animale referenziale, non riuscendo più a trovare punti di riferimento se li inventa.

Ed è precisamente qui che entrano in gioco le strumentalizzazioni ideologiche funzionali al mantenimento della coesione interna di uno Stato, in grado di garantirne anche la tenuta esterna — necessaria per continuare ad esistere.

Personalmente, credo che Breivik, in fondo, non sia che un’altra vittima dell’esiziale sindrome di Poitiers/Lepanto (la chiamo così perché Poitiers è un terrore condiviso da tutta quanta l’Europa occidentale, mentre Lepanto evidenzia il risvolto ideologico della faccenda). Naturalmente non sono né Carlo Martello né don Giovanni d’Austria gli ispiratori della suddetta sindrome, bensì i loro indegni epigoni — tra i quali figura la trimurti Allam-Fallaci-Pera (in ordine alfabetico, perché davvero non saprei dire chi fra i tre abbia fatto o faccia più danni), meritevole assai più di Breivik di una condanna per crimini contro l’umanità: Breivik essendosi limitato ad ammazzare direttamente qualche decina di compatrioti, mentre sull’atra coscienza della trimurti grava il peso di aver auspicato e benedetto a vario titolo la morte di centinaia di migliaia di civili nel mondo — e non credo di esagerare coi numeri.

A parte questo, Breivik è uno che nel suo diario, l’11 giugno scorso, dice di aver “spiegato a Dio” alcune cose. Giovanna d’Arco non disse mai niente di simile: ma il suo parlare con Dio scatenò uno dei sacri macelli più memorabili della storia, avendo trovato cuori pronti ad accogliere il suo messaggio. I tempi, ora, sono quelli del bricolage: e uno come Breivik si adatta a far da sé. Fosse ancora vivo, Tito Lucrezio Caro probabilmente commenterebbe anche stavolta «tantum religio potuit suadere malorum», guarda un po’ che danni che fa una certa idea di religione.

Da ultimo, m’inquieta la constatazione di una perdita gravissima per il genere umano: quella del rasoio di Ockham. Mi piace ricordarne l’enunciazione in latino, abbiate pazienza: «entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem» e «non fit per plura quod fieri potest per pauciora» — se a spiegare un fenomeno basta una sola causa, perché affannarsi a cercarne altre e più numerose? In altre parole: perché non possiamo considerare Breivik come un tipo abbastanza disturbato da prendere sul serio certe farneticazioni al punto di volerle fortissimamente mettere in pratica? (Da solo o con qualche amico, cambia poco). Che bisogno c’è di ipotizzare complotti intrecciati, intrighi internazionali, trame multicolori e infiltrazioni di servizi deviati — tutto stratificato come una millefoglie?

Smetto di pormi domande, e continuo ad osservare: se il buon Dio o l’evoluzione ci hanno dato due orecchie, due occhi e una bocca sola, ci sarà un motivo.


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