Magazine Diario personale
Miharu aprì gli occhi e con la coscienza, tornarono anche la febbre e il dolore. Si alzò con un grugnito.
“Davvero, che ti prende?” chiese Hikari, seccata.
“Sono solo gli effetti del jet-lag. Passeranno presto,” replicò Miharu, ignorando il malessere.
Il treno si fermò e scesero a una stazione fatiscente e deserta.
“Questo è il vecchio quartiere industriale Einstein-Fermi” spiegò Hikaru. “È praticamente abbandonato; tutte le attività sono state trasferite nel nuovo quartiere industriale O’Neill-Nagano.”
Uscirono in superficie e si ritrovarono in una wasteland di fabbriche abbandonate e macchinari allo sfascio. Gli edifici cadenti erano stati semplicemente transennati, mentre attorno al perimetro della vecchia centrale a fusione nucleare era stata disposta una rete metallica sormontata da filo spinato. L’unico accesso era un cancello sbilenco chiuso da un pesante lucchetto.
Il perimetro della centrale aveva l’aspetto abbandonato e desolato del resto della zona.
Hikari lo condusse a una vetusta palazzina d’uffici con il nome della centrale e il logo dell’azienda.
Salirono al secondo piano, attraversarono l’open space deserto e si diressero all’ufficio in fondo.
“Questo è l’ufficio del mio capo” spiegò Hikari, bussando alla porta.
Rispose una voce roca e annoiata.
“Capo, questo è l’ingegnere che supervisionerà il progetto” disse Hikari, introducendo Miharu.
Janssen sollevò lo sguardo su Miharu e lo squadrò dall’alto in basso.
“Sul serio? Questo ragazzino?” ringhiò, incredulo, “Ma se è un moccioso!”
Hikari non replicò. Non che si potesse veramente controbattere all’osservazione di Janssen. “Yamato, è uno scherzo?”
“Posso farle vedere le mie credenziali, se vuole” disse Miharu, piccato.
Sostenne lo sguardo di Janssen per un lungo minuto, che a Hikari parve un’eternità.
Janssen alla fine distolse lo sguardo e sventolò una mano in un gesto di resa.
“Siamo a corto di personale. Se vuoi lavorare al progetto, a me va benissimo. Hikari ti spiegherà di cosa si tratta.”
Miharu sedeva a un tavolo della caffetteria del campus del college industriale di Genesis City ed era intento a lavorare al programma di controllo per il reattore sperimentale Qasar1. Il progetto era stato abbandonato quando la Federazione aveva importato su Genesis i suoi reattori Alcubierre Mark III/1000, lo standard per le warp drive di terza generazione, ma il primo dei tre reattori previsti per il Progetto Qasar era stato praticamente costruito per il 90%, prima che il progetto venisse sospeso. L’OSF aveva terminato la costruzione in sei mesi e ora restava solo da installare il programma di controllo, di cui si occupava Miharu.
“Lavori troppo, Miharu. Non ti fa bene” disse Hikari, raggiungendolo.
Lanciò uno sguardo al pranzo al sacco di Miharu, che non era stato toccato.
“Insomma! Non hai mangiato niente neanche oggi!”
“Non ho fame, Hikari.”
“Stai lavorando al programma?”
“Domani dovrebbe essere pronto per il test.”
Miharu terminò di scrivere la stringa di codice sulla quale stava lavorando.
“Se può farti sentire più tranquilla, ora mangerò il mio pranzo, ok?”
Ripose l’hPad nella borsa e fece per aprire il contenitore del pranzo, ma impallidì e il contenitore gli sfuggì di mano e il contenuto si rovesciò sul tavolo.
“Miharu? Miharu! Cosa ti succede, Miharu?” scattò Hikari, aggirando il tavolo.
Miharu strinse i denti. Aveva avuto delle crisi cardiache in precedenza, ma mai così forti.
“Hi-Hikari...”
“Miharu!!!”
La voce di Hikari che gridava il suo nome fu l’ultima cosa che sentì prima di perdere conoscenza.
La coscienza tornò poco a poco. Dapprima, udì il pigolio regolare del monitor cardiaco.
Poi fu la volta dell’odore acre del disinfettante, che poteva avvertire anche attraverso la mascherina per l’ossigeno che gli ricopriva il naso e la bocca. Quindi avvertì una sensazione dolorosa nell’incavo del braccio destro e seppe che era l’ago di una flebo.
Le lenzuola erano lisce al contatto con il palmo delle sue mani e il materasso rigido sotto la sua schiena.
Infine, aprì gli occhi e, dopo un primo momento, in cui faticò a mettere a fuoco i particolari, riconobbe i contorni della lampada al neon posta al centro del soffitto. La lampada era spenta e le veneziane abbassate; la stanza in penombra.
Hikari sonnecchiava su una sedia accanto al letto.
“Hikari.”
“Miharu!” esclamò lei, risvegliandosi di soprassalto, gli occhi gonfi di lacrime.
“Non piangere, Hikari…”
“Non sto piangendo” disse lei, asciugandosi le lacrime. “I medici hanno detto che stai morendo!”
“Così l’hai scoperto.”
“Cosa significa, “così lo hai scoperto”? Non hai niente da aggiungere?!”
“Il mio corpo sta morendo da dieci anni, Hikari. Distrutto dalle radiazioni.”
Allungò una mano verso di lei e Hikari la prese tra le sue.
“Ascoltami, Hikari. Ti racconterò tutto.”
Hikari tacque e posò su di lui uno sguardo misto di paura e rimprovero.
Miharu si prese un momento per riordinare le idee e iniziò a raccontare.
“Sono un essere umano artificiale, Hikari, un prodotto dell’ingegneria genetica. Vivevo con altri simili a me sulla colonia orbitale di Jupiter One. Sì, la colonia che è stata distrutta da un’esplosione nucleare una decina di anni fa. Sono stato io a provocare quell’esplosione...e a uccidere i miei fratelli e le mie sorelle. Solo io e la mia gemella Hanabi ci siamo salvati. Feriti a morte e contaminati in modo irreparabile dalle radiazioni, siamo stati recuperati da una nave della Federazione e consegnati ai militari. Mia sorella, non so nemmeno dove viene tenuta. Siamo stati separati molto tempo fa. Io sono, per così dire, una “proprietà” della Flotta Stellare. Il mio superiore mi ha mandato su Genesis per supervisionare la costruzione del reattore Qasar ma ho anche un’altra missione. Devo impiantare nel sistema di controllo del reattore un Cavallo di Troia, un virus che, se attivato, provocherà il surriscaldamento e l’autodistruzione del reattore.”
“Miharu…ma così…!” esclamò Hikari, incapace di finire la frase.
“Il pianeta verrà distrutto” terminò Miharu per lei. “Ingoiato da un buco nero.”
Miharu volse la testa nella sua direzione e la guardò negli occhi.
“Tu hai il potere di fermarmi, Hikari.”
“Miharu, no! Se questa storia dovesse arrivare alle orecchie di Janssen, ti ucciderebbe!”
“Se porto a termine la missione, il pianeta verrà distrutto. Moriranno milioni di persone.”
“Non succederà. Troveremo una soluzione. Non pensarci, adesso. Hai bisogno di riposare.”
Quella sera, nascosta sotto le coperte, Hikari pianse. Perché Miharu le piaceva e sapeva che lui ricambiava i suoi sentimenti, anche se non glielo aveva mai detto. Non c’era bisogno di parole.
Era successo a poco a poco, in quei mesi in cui avevano lavorato a stretto contatto.
E ora, Miharu le aveva rivelato i segreti che fino a quel momento aveva tenuto per sé.
Hikari aveva avuto i suoi sospetti, osservando l’espressione assorta di lui mentre lavorava.
Non era mai un’espressione serena, era un’espressione velata di tristezza, quasi dolorosa.
Ma non avrebbe mai immaginato che la verità fosse tanto orribile e lei era orribilmente egoista.
Perché Miharu stava morendo e non c’era nulla che si potesse fare per invertire il processo.
Il pianeta poteva anche saltare per aria, per quel che la riguardava; lei voleva salvare Miharu.
Come doveva comportarsi? Come poteva fare fronte a tutto questo? Era una situazione senza uscita!
Nota: non mi piace lasciare i progetti incompiuti e su questo si tratta più che altro di fare editing, perché il testo era già stato scritto nel 2010/11. Poiché fare editing è un'attività che trovo terribilmente noiosa e frustrante, come avrete notato la pubblicazione dei capitoli procede a rilento. Ma procede. Non so quando avrò voglia di postare i prossimi capitoli, but Stay Tuned! ;)
Postilla: sto cercando di capire come funziona la promozione gratuita su Kindle Direct Publishing. Se riesco a saltarci fuori, nei prossimi giorni Il fantasma del lago dovrebbe essere scaricabile gratuitamente.
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