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Spitzer scopre i fullereni nello spazio

Creato il 22 novembre 2010 da Stukhtra

Potrebbero aver contribuito alla nascita della vita

di Mattia Luca Mazzucchelli

Sembrerà strano, ma negli ultimi mesi alcuni gruppi di scienziati sono sulle tracce di piccoli palloni da calcio e rugby in carbonio sparsi nell’universo. Minuscoli, ma estremamente importanti e versatili.

Spitzer scopre i fullereni nello spazio

Palle fra le stelle. (Cortesia: Caltech)

Il carbonio è l’elemento chimico che costituisce la grafite (le mine delle matite per intenderci) e il diamante. Nel 1970 si ipotizzò che potesse formare anche un’altra struttura solida: il fullerene o, in inglese, buckyball. Il nome deriva da quello di Buckminster Fuller, l’architetto noto per le cupole geodesiche dalla forma simile a una buckyball.

Immaginare il fullerene è piuttosto facile. Nella sua forma più semplice è come un pallone da calcio di quelli bianchi e neri a esagoni e pentagoni (tant’è che il nome originale era “soccerene”, da soccer), dove su ogni vertice si pone un atomo di carbonio. Si ottiene così una sfera cava fatta da 60 atomi di carbonio. Esistono anche altre forme, come quella a forma di pallone da rugby, ovale e con 70 atomi, e i nanotubi di carbonio. Le potenzialità e gli usi del fullerene sono notevoli e si estendono dai superconduttori fino ai lubrificanti e alla medicina, dove vengono usati come “capsule” in cui inserire i farmaci da somministrare, per farli arrivare intatti dove sono necessari.

Nel 1985 queste molecole sono state sintetizzate per la prima volta in laboratorio. In seguito sono state trovate anche in Natura: sulla Terra, in antichi meteoriti e anche sparse in piccole quantità nella fuliggine liberata dalla combustione di sostanze organiche quando viene attraversata da scariche elettriche (ad esempio dai fulmini). Ma è solo nel luglio scorso che ne è stata provata l’esistenza nello spazio. E in modo del tutto casuale.

Il telescopio spaziale Spitzer della NASA stava studiando delle nebulose planetarie: resti di stelle simili al Sole che invecchiando hanno espulso gli strati esterni di gas e polveri. Al centro di una planetaria si trova ancora la stella morente, molto compatta e calda, che illumina e riscalda ciò che le sta intorno. Guardando la nebulosa, Spitzer vede la radiazione infrarossa che, una volta emessa dalla stella, attraversa il materiale tutt’attorno. E dall’analisi spettroscopica si trovano… le buckyball, appunto. Così i ricercatori hanno trovato le sfere di carbonio in tre nebulose planetarie nella Via Lattea e in una quarta nella Piccola Nube di Magellano. In particolare quest’ultimo caso si è rivelato molto interessante poiché se ne conosceva la distanza e si è potuta calcolare la quantità di fullerene presente: 15 volte la massa della nostra Luna. Non solo: l’abbondanza di idrogeno nelle nebulose è stata inattesa, perché si riteneva che avrebbe indotto la formazione di strutture diverse dalle buckyball. “Ora sappiamo che il fullerene e l’idrogeno possono coesistere nelle nebulose planetarie, e per noi è importante per capire come le buckyball si formano nello spazio”, spiega Anibal Garcìa-Hernàndez, dell’Istituto di Astrofica delle Canarie. “Si è scoperto che i fullereni sono molto più comuni e abbondanti nell’universo di quanto si pensasse inizialmente. Spitzer di recente li ha trovati in un luogo specifico, ma ora riusciamo a vederli anche in altri ambienti”, aggiunge Letizia Stanghellini, del National Optical Observatory di Tucson, in Arizona, autrice insieme a Garcìa-Hernàndez e ad altri astrofisici di un articolo che descrive questi risultati, pubblicato il 28 ottobre da “The Astrophysical Journal Letters”.

Un altro gruppo di ricercatori guidato da Kris Sellgren, astrofisica della Ohio State University, si è soffermato soprattutto sui fullereni presenti nello spazio interstellare e ha pubblicato i propri risultati il 10 ottobre in un articolo sempre su “The Astrophysical Journal Letters”. Dalle desolate plaghe fra le stelle, le buckyball possono arrivare nelle nubi di gas e polveri intorno alle giovani stelle, essere catturate e, grazie a comete, asteroidi e meteoriti, finire sulla superficie dei pianeti. Ecco quindi il nesso fra i fullereni osservati nello spazio e quelli presenti nei meteoriti caduti sul nostro pianeta.

Ma c’è un risvolto ancora più interessante: a partire da queste scoperte, si inizia a pensare che la vita sulla Terra abbia avuto origine anche grazie ai fullereni provenienti dallo spazio. Infatti la vita come la conosciamo è basata sul carbonio, e le buckyball possono fornire il carbonio necessario, fra l’altro liberando anche altre molecole intrappolate al loro interno. Insomma, i fullereni stanno fornendo nuovi spunti all’astrobiologia, la disciplina che studia (anzi, meglio, che vorrebbe studiare) le possibili forme di vita extraterrestre.


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