Ieri sera, assieme a un nutrito gruppo di amici di vecchia data, ho assistito alla data veronese del tour celebrativo dei Marlene Kuntz. Celebrativo perché si festeggiavano i 20 anni dal loro esordio discografico ufficiale, contrassegnato dall’epocale “Catartica”, qui omaggiato appieno, e rivisitato in ogni sua traccia. Quest’anno hanno dato alle stampe un nuovo album molto distante dalle loro recenti aperture alla musica d’autore italiana, tornando indietro nel tempo. Infatti “Pansonica” poco o nulla ha a che spartire con gli album della “svolta” del gruppo di Cuneo, risalendo nei suoi brani proprio alla genesi di “Catartica”. Non scarti dell’epoca – sarebbe ingeneroso affermarlo – ma piuttosto delle b-sides nello spirito. Già su disco avevano dimostrato in qualche modo di competere con le “elette”, quelle tracce immortalate poi nel primo fortunato album, ma a maggior ragione, eseguite dal vivo, nel contesto di un recupero delle atmosfere primordiali della band, si sono caratterizzate per la medesima intensità, per il notevole impatto e, non secondario, per la potenza delle parole. Mi ha sempre colpito del gruppo di Godano la capacità di “fare rumore”, senza disdegnare testi che spesse volte assomigliavano a veri testamenti intrisi di poesia. Così è stato ieri, con il pubblico – assai numeroso e partecipe – avvolto in una rassicurante viaggio a ritroso nel tempo, nel pieno degli anni ’90, con unica concessione nel finale a quella “Musa”, inserita nell’insolito (per il loro repertorio) “Uno”. Da tempo, da una decina d’anni, forse di più, i Marlene Kuntz stanno battendo strade nuove, senza perdere comunque la loro attitudine e il loro spirito. Puntualizzato questo aspetto, è innegabile come, a risentirle tutte assieme, una dietro l’altra (e inframmezzate dai pezzi di “Pansonica” che, come detto, si legano ad esse come un continuum temporale), le canzoni di “Catartica” non abbiano smarrito un grammo del loro fascino e della loro carica. E poi, loro, i “ragazzi”: davvero a loro agio sul palco, a riappropriarsi della loro storia, più che a autocelebrarsi. Un’operazione che, lungi dall’essere meramente commerciale, o inserita in un momento storico di “stanchezza creativa”, mi ha convinto del tutto, specie dopo aver visto la piena sintonia tra band e affezionati sostenitori. Un tributo doveroso, con la consapevolezza di aver indicato all’epoca una strada credibile e autorevole, proiettata verso la piena affermazione di un certo tipo di rock alternativo che potesse avere una sua valenza anche in un territorio piuttosto ostico come il panorama musicale italiano.
Menzione speciale per le celebri cavalcate “Festa Mesta” e “Sonica” (probabilmente le più attese del pubblico, che si è scatenato letteralmente al loro incedere) e per il manifesto “Nuotando nell’aria”, prototipo valido per chiunque volesse cimentarsi nello scrivere una vera ballata rock con tutti i crismi, una delle perle più splendenti dell’intera produzione italiana degli anni ’90 (e non solo!). E poi ho trovato impeccabile la versione di “Trasudamerica”(per inciso, da sempre, una delle mie preferite del gruppo piemontese) e assolutamente trascinante, nella sua imperiosa melodia, “Canzone di domani”. Forse la sola “Lieve” (che adoro, specie nella loro primigenia versione, più che in quella passata alla storia grazie ai padrini C.S.I.) mi è parsa leggermente sottotono, ma questo è solo un punto di vista condiviso al più con il mio amico Riccardo, anche lui per il resto assolutamente soddisfatto dello spettacolo a cui abbiamo assistito. Tra le canzoni di “Pansonica” già su disco mi avevano colpito in particolare “Parti” e “Capello lungo”, e dopo averle sentite dal vivo, confermo la mia idea che non avrebbero assolutamente sfigurato in “Catartica”. Già, quella “Capello lungo” che ebbi modo di ascoltare molto tempo prima dell’inclusione in “Pansonica”, perché ne esiste una versione “lo-fi” su you tube, tratto da uno dei primi demo dei Marlene, quando ancora alla voce vi era Alex Astegiano, ora affermato fotografo e al seguito del gruppo, di cui è rimasto in strettissimi rapporti. Dopo il concerto, nonostante ci fosse davvero un sacco di gente accorsa per vederli, anch’io sono riuscito a scambiare piacevolmente due parole con il leader Cristiano Godano, autentica icona del rock italiano, che anche a vederlo in abiti “normali”, non in scena diciamo così, emana ugualmente fascino e carisma. Gli ho fatto i miei più sinceri complimenti e ho avuto anche modo di dirgli che ho omaggiato lui e il suo gruppo nel mio recente saggio “Revolution ‘90”, incentrato proprio sulla musica italiana degli anni’90. Lui mi ha salutato, a sua volta, con un sincero ’”in bocca al lupo” per il libro e la cosa mi ha fatto molto piacere; d’altronde non ho remore a definire i Marlene Kuntz come uno tra i 3 gruppi che maggiormente hanno segnato il mio immaginario dell’epoca (ma non credo di sbagliarmi se dico che la cosa ha riguardato la stragrande maggioranza del pubblico giunto ieri a Verona). Peccato non essere riuscito a salutare Alex che tempo fa mi rilasciò un’interessante intervista, già pubblicata nel mio blog e che includerò pure in un mio libro di prossima uscita: “Rock ‘n Words”. Mi auguro comunque ci saranno altre occasioni, perché questo tour vale davvero il prezzo del biglietto e non è detto che non mi conceda un’altra data qui nelle vicinanze.