In un periodo di crisi dei giornali e di riorganizzazione mediatica su scala mondiale, mi sono trovata spesso a parlare con persone che sostenevano che non ci fosse nulla di male a finanziare articoli, inchieste e produzioni video con la pubblicità. Adesso vi racconterò un’esperienza personale che dovrebbe illustrare, nel piccolo, perché invece questo è un sistema con delle controindicazioni.
Da giovedì andranno in onda al cinema del Cittàfiera, prima del film, dei corti (documentari) alla cui realizzazione ho collaborato e che secondo me meritano.
Quando mi è stato proposto di collaborare a questo progetto ho avuto delle riserve perché non volevo lavorare, seppur molto indirettamente, per il Cittàfiera. Non sono stati i soldi a convincermi: a quelli si può dire di no. Piuttosto mi sembrava un progetto bello, che avrebbe permesso a un pubblico diverso dal mio solito di conoscere persone o esperienze interessanti della nostra regione, incuriosirsi e aprirsi magari la mente.
Ho detto di sì e sono contenta di averlo fatto.
Siccome qualcuno questa cosa la doveva finanziare, come sponsor è stata trovata una catena in prossima apertura al Cittàfiera.
Adesso voi capirete che finché dura il progetto io non posso dire nulla, nemmeno sul mio blog, sul Cittàfiera né sullo sponsor. Non perché ci sia scritto nel contratto o io abbia paura di perdere il lavoro: fortunatamente nel mio caso, e ovviamente non sempre è così, le conseguenze sarebbero solo morali e interpersonali. Dire qualcosa su chi mi commissiona e paga un progetto sarebbe semplicemente sleale. Quindi devo tacere.
Inoltre, sul video abbiamo ovviamente dovuto mettere il logo dello sponsor. Pensate a un video che vi è piaciuto e immaginate di vederlo con un logo. Non fa lo stesso effetto.
Questo è un caso piuttosto blando, e già mi mette in difficoltà. Pensate se, invece di corti su temi poco controversi come un orto urbano o un pittore locale, avessimo voluto realizzare inchieste. E pensate se avessimo scoperto qualcosa di scottante o voluto trattare proprio del nostro sponsor. O comunque di una banca o di una multinazionale, che di solito sono quelle che pagano: nessuno ci avrebbe finanziato, forse nemmeno un rivale, per paura che le nostre inchieste finissero per ritorcerglisi contro.
Il cinema del Cittfàfiera non è un cinema qualsiasi, indipendente: esiste all’interno di una rete commerciale complessa e potente, i cui interessi sono molteplici.
L’informazione libera, secondo me, non può dipendere dai finanziamenti pubblici e ancor meno dalla pubblicità e dalle sponsorizzazioni. Anche con i fondi pubblici, e ne so qualcosa, non si è completamente liberi. Per fortuna a Radio Onde Furlane nessuno mi ha mai censurato, ma non posso dimenticare che è l’amministrazione regionale a decidere se dare o non dare. Io agisco indipendentemente da questo, ma non escludo che qualcuno in Regione senta e apra e chiuda la borsa di conseguenza.
Devono essere le persone a pagare arte e informazione, volontariamente e capendone il valore, magari pagando anche per chi non ha soldi ma ha voglia di sapere. Io non vedo altri sistemi.
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