L’altro giorno un fatto funebre e tutto italiano ha colpito la mia attenzione. Si parlava di un genero che sul necrologio del suocero ha scritto dettagli non proprio edificanti sulla vita di quest’ultimo, descrivendolo come un aguzzino e beccandosi in cambio una bella denuncia per diffamazione. Mi ha fatto riflettere perché, pur non essendo d’accordo con il genero, che ha adottato uno stile troppo rancoroso, perlomeno per i miei gusti, d’altra parte questo piccolo episodio porta con sé una grande verità: quando si muore, in genere, ci si trasforma. Diventiamo tutti buoni, cari, amati, stimati, irreprensibili. Si mente su quella che è stata la nostra vita reale. Si omettono dettagli. Veniamo portati tutti sullo stesso livello di anonima perfezione, come se il necrologio o la lapide fossero il nostro biglietto da visita per l’aldilà, per non fare brutta figura. E, pensando a questo fatto, mi è venuto in mente il nome di un posto speciale: Săpânţa.
Per trovarlo, dobbiamo spostarci in Romania, nella parte settentrionale del paese, Maramureș. Se cercate informazioni sul web, vedrete che è uno dei 14 distretti romeni, ubicato nella regione storica della Transilvania. Le prime immagini che vi balzeranno agli occhi, sono quelle di prati verdi e cieli azzurrissimi, tutto l’opposto di quel che ci si immagina essere la terra del conte Vlad. I colori sono accesi, brillanti, decisi, anche nei cimiteri, o per meglio dire, nel cimitero di Săpânţa, conosciuto anche col nome di cimitirul vesel, il cimitero che ride.
A idearlo, forse non del tutto consapevolmente, fu Stan Ioan Patraş, di professione scultore, che inaugurò una strana tradizione che ha presto contaminato tutto il sito cimiteriale e anche il mondo dei vivi. A metà degli anni ’30 Patraş divenne lo scultore ufficiale – forse anche l’unico, visto che stiamo parlando di un posto minuscolo – del paese, realizzando le monumentali porte di legno che resero orgogliosi i contadini del posto, così come le croci del cimitero locale. Pian piano, iniziò a metterci del suo, a introdurre delle migliorie volte a soddisfare i propri clienti: iniziò a dipingere le croci per proteggerle dall’azione degli agenti atmosferici e per farle durare più a lungo. Da subito, scelse il blu intenso, lo stesso di molte delle vecchie case transilvane. Ma anche così non era abbastanza. Dopo il colore arrivarono le prime decorazioni: motivi geometrici o floreali, lune e soli realizzati in colori vivaci, quelli dei tappeti e dei tessuti locali, delle ceramiche e delle immagini dipinte sul vetro.
Poi arrivarono i volti. Ispirato forse dalle croci erette lungo le strade, dove solitamente compare il volto di Cristo, o forse dall’usanza di mettere foto sulle croci dei cimiteri urbani e rurali, Patraş fece una cosa che nessuno aveva mai fatto: quei volti iniziò a disegnarli come fossero motivi decorativi. E arrivarono anche rappresentazioni decisamente realistiche della morte stessa. Un po’ come accade negli ex voto, dove però si parla di una morte scampata… Nel cimitero che ride può capitare che il morto in un incidente d’auto sia rappresentato in piedi, accanto all’auto, a raccontare la sua vicenda, oppure nell’atto stesso di essere investito. Fatto sta che l’idea di Patraş piacque a tal punto che gli abitanti del villaggio iniziarono a commissionargli croci sempre più elaborate, insolite, per accogliere piacevolmente i visitatori.
E vogliamo parlare delle epigrafi? A Săpânţa è avvenuto un po’ il contrario di quel che è accaduto da noi. Alcune lapidi antiche sono veri e propri libri, che svelano molti dettagli sull’identità del defunto. Quelle contemporanee dicono pochissimo: un nome, un cognome, due date. Raramente c’è dell’altro. A Săpânţa, invece, si è partiti da iscrizioni molto laconiche per arrivare a un effetto di moltiplicazione dei dettagli: il soprannome, una rima che renda il defunto più facile da ricordare, qualche evento memorabile. Il tutto in prima persona singolare, e al tempo presente. A Săpânţa sono i morti che parlano, e che continuano a raccontarsi.
Patraş ha avviato la costruzione di una Spoon River transilvana, dove ci sono i professionisti, i grandi lavoratori, ma anche chi preferisce essere ricordato per come amava il proprio bestiame, i prati, la propria casa; ci sono i morti di malattia, i morti di incidente, i morti in guerra. E i morti con qualche piccolo difetto. L’epigrafe più nota, riprodotta anche sui souvenir, è ad esempio quella di Dumitru Holdis: «La grappa è un veleno puro | che porta pianto e tormento. | Anche a me li ha portati. | La morte mi ha messo sotto i piedi. | Coloro che amano la buona grappa | come me patiranno | perché io la grappa ho amato | con lei in mano sono morto».
Eccola, la verità, narrata in modo semplice, naif, poco solenne e sicuramente personale. Non siamo tutti buoni, stimati, rispettati. Mentre invece tutti abbiamo dei difetti. E il metterli in luce, con un umorismo bonario, stimola senz’altro la curiosità, forse dà allegria. A Săpânţa ci si va per fotografare la microstoria locale, per portarsi a casa tanti piccoli frammenti di vita contadina, forse per progettare una sepoltura diversa dall’anonimato di un loculo. E chi ci sta, a Săpânţa, accoglie, si racconta, e diventa protagonista.
Săpânţa è ancor oggi una piccola rivoluzione, inserita tra l’altro nella lista Unesco dei luoghi da tutelare. E mi piace pensare che non arrivi da New York, Berlino o Parigi, ma da un piccolo villaggio sperduto nella Romania settentrionale e dall’inventiva di un uomo che ha saputo trasferire nella morte un elemento difficilissimo da accostarle: la piacevolezza. Dopo la morte di Patraş, la tradizione è continuata, con alcune piccole innovazioni nell’uso dei colori e dei motivi decorativi. Si fanno molti nomi, gli scultori si sono moltiplicati e hanno continuato a dipingere croci, per un popolo piccolo e allegro, che ha scelto un modo bellissimo per essere ricordato.
E Patraş? Anche lui ha la sua croce: creatorul cimitiruli vesel. Bravo Stan. Ridiamo anche noi.
Sulle iscrizioni del cimitero, cfr. Bruno Mazzoni, Le iscrizioni parlanti del cimitero di Sapanta, 1999. Il libro è fuori catalogo. Si può provare in biblioteca.