Il trionfo della morte, sec. XV- Palazzo Abatellis -Palermo
E’ come l’ingordigia. L’ambizione umana non ha limiti. Non ti basta quello che hai. Ne vuoi di più, sempre di più. Un pozzo senza fine o un’indecorosa masturbazione all’aperto. Tutti vedono l’atto osceno ma non lo percepiscono, e magari pensano a qualche tornaconto personale. Il grande modello insegna. Siamo in un’altalena continua tra un alto
e un infimo. L’alto sempre in assenza totale di equilibrio e il basso un toccare il fondo con il culo. In questa oscillazione continua non sai più dov’è
la decenza, visto che l’infanzia negli adulti è passata da un pezzo.
Per fortuna l’opinione pubblica considera vecchio, sorpassato, ciò che a furia di ripetersi si fa monotono. Ma per un fatto, anche questo, egoistico. Voglia di cambiare minestra, o come erroneamente si diceva un tempo, voltar pagina. Nella terra dei gattopardi le iene sono sempre in agguato.
Il macromodello spunta con la sua proliferazione nella politica e nella società, quando l’ambiente diventa ostile, la comunità ristretta. Allora si autoriproduce creando pessime copie in piccolo. Così si ramifica in realtà fuori dal mondo, come Partinico, la mafiopoli specializzata nel nulla.
Qui ti aggiri materialmente isolato dal resto del mondo. Il paese non ha collegamenti ferroviari con le grandi città. Devi farti alcuni chilometri a piedi con le valige se vuoi prendere il treno. All’andata e al ritorno. Antica stazione quella di Partinico! Nel 1892 una coraggiosa banda musicale sostenuta dal Comune andò a ricevere i capi socialisti che venivano nel paese per organizzare il mondo del lavoro. Si viaggiava con i carretti e sicuramente il sindaco pagava qualche contadino per il trasporto dei passeggeri in paese. Questo quando si stava peggio, già dalla notte dei tempi. Oggi vai in macchina e ti viene la depressione nel deserto del luogo. Poi, sempre quando si stava peggio, arrivò la ditta Di Bari. Un autobus sgangherato, con pochi spiccioli, faceva la spola, ad ogni arrivo di treno, con il paese. Pagavi una tariffa ridotta e l’autista ti lasciava dove volevi. Ora potresti solo lasciare la macchina al parcheggio, se devi assentarti per più di una giornata, ma non è detto che quando torni la trovi. Se ti sei alzato un po’ di malumore alla stazione è meglio che non ci vai. Ti prende la tristezza. Quando si stava peggio, trovavi il bar, il giornale, e delle panchine per sederti. Arrivava gente e c’era una certa allegria.
Non ha alberghi Partinico e non ha sale cinematografiche tranne quella della combattiva signora Cavaliere che ha sudato sette camicie per rendere al paese questo suo servizio culturale.
Non ha biblioteche degne di questo nome e non ha archivi. Non ha giovani se non per litigare sulle idee, e non ha strutture sportive. Non ha più monumenti e non ha più le sue antiche piazze, le sue case borghesi e contadine. Tutto è stato distrutto, compresa una diga e mille trazzere regie, un tempo vanto delle comunicazioni interne tra gli estesi ex feudi della grande piana partinicese. Soprattutto non ha più memoria del suo passato. Ma sindaco ed assessori ne sono felici. Siamo perciò convinti che, continuando così le cose, il paese non potrà mai avere un suo futuro.
Allo stesso modo degli inconvenienti cui vai incontro con la ferrovia, ti trovi in analoghe difficoltà se devi andare in aeroporto, che dista una ventina di chilometri dal paese. O ti fai accompagnare da qualcuno, o ci vai in macchina pagando le tariffe orarie e giornaliere. O prendi un taxi, fatto arrivare da fuori perché a Partinico il Comune non ha mai pensato di istituire un servizio di questa natura. Il turista che si dovesse avventurare dalle nostre parti senza tener conto di che cosa è realmente questo luogo fuori dal tempo e dalla storia, sarebbe veramente in serie difficoltà. Non avrebbe alcun vantaggio economico nel fermarsi qualche giorno in una realtà che lo isolerebbe dal mondo. Fatta eccezione per i pellegrini che vanno a vedere il santuario della nostra beata Pina Suriano. Ma quelli arrivano con i pullman pagati da loro.
Qui, la legge Ronchi non esiste, non esistono molte altre leggi, si vivacchia e l’unica cosa che hanno in mente alcuni assessori è cercare nuove clientele per essere rieletti e perpetuare la morte progressiva del comune. Uno di loro pare si sia addirittura autoproposto a fare il futuro sindaco. Vox populi. Non è stato sempre così ed è bene che i giovani lo sappiano. Qui, in questa terra ridotta a niente, sono vissuti insigni medici come Sebastiano La Franca e Giuseppe Azzolini, uomini di cultura come il marchese di Villabianca e il notaio Giuseppe Di Bartolomeo, autori delle prime opere sulla storia di Partinico. Per non parlare di Danilo Dolci che tutto il mondo conosce tranne i nostri beneamati amministratori che a oggi non gli hanno intitolato nemmeno un vicolo cieco. Per non parlare dell’abbandono in cui versano le scuole alle quali per legge il comune deve erogare i servizi dell’arredamento, della manutenzione, del finanziamento dei progetti per
l’educazione degli adulti, oltre che fornire quanto necessario alla messa in sicurezza degli edifici.
In tutt’altre faccende affaccendati gli assessori curano la loro immagine e sorridono. Berlusconi insegna. L’importante non è fare, ma tessere relazioni, in vista di occupare in pianta stabile il palazzo, gestire il potere senza controllo alcuno, senza partecipazione e senza democrazia. Basta sorridere. Così, per qualche assessore si radica la convinzione che più disprezzi i cittadini, più aumenta il tuo consenso se ci sai fare. Devi puntare agli aggregati, alle famiglie di famiglie, alle grandi consorterie, alle parrocchie, alle associazioni, alle astrazioni concettuali dietro le quali si muovono gli illusi, i delusi, i confusi, quelli che sperano e i disperati. Così gli amministratori fanno incontri, pattuiscono, assumono impegni e fanno spese. L’importante non è mantenere, ma fingere.
Incuranti della crisi fanno i figli di papà con il denaro pubblico. I meccanismi che presiedono alle elezioni di questi signorini andrebbero studiati attentamente. Ma non è discorso che possiamo fare correndo. Ci basti per ora sapere che uno di loro, per dare forza alle sue promesse, disse un giorno, qualche anno fa: “Se non lo faccio, potete sputarmi in faccia”. Non lo fece, non poteva farlo. Ma c’erano cinque consiglieri comunali ad ascoltarlo, e parecchi cittadini. Ora sarebbe cosa di dirgli: “Assessore, possiamo venire? Lei è pronto?”
Giuseppe Casarrubea