Con il secondo concerto della stagione sinfonica, la Staatsorchester Stuttgart ha preso parte alla giornata conclusiva del ciclo Lachenmann-Perspektiven con il quale la città ha voluto rendere omaggio al compositore, nato il 27 novembre 1935 nei pressi della Johanneskirche am Feuersee dove il padre officiava come pastore evangelico, in occasione del suo ottantesimo compleanno. Il programma ideato da Sylvain Cambreling in collaborazione con il maestro, che ha preso parte alle prove e a tutti gli appuntamenti della rassegna con un’ energia e una lucidità soprendenti per una persona della sua età, presentava un accostamento tra una partitura per grande orchestra di Lachenmann e una di Beethoven. Come spiegato da Cambreling prima di dare inizio al concerto, si trattava di una decisione presa in base a una serie di ragioni che vi spiegherò più avanti. Veniamo adesso a raccontare ciò che abbiamo ascoltato.
Il brano di Lachenmann eseguito in questa occasione era Tanzsuite mit Deutschlandlied, composizione per quartetto d’ archi e orchestra risalente al 1980 ed eseguita per la prima volta il 18 ottobre dello stesso anno ai Donaueschinger Musiktagen proprio sotto la direzione di Sylvain Cambreling con la Sinfonieorchester des Sudwestfunk Baden-Baden e il Berner Streichquartett. Il lavoro è strutturato in cinque grandi parti che contengono numerose sezioni più piccole (18 in totale), molte delle quali prendono il nome da motivi di danze ben noti, anche se spesso difficili da distinguere. La melodia del Deutschlandlied da cui la partitura prende il titolo, che anche oggi costituisce l’ inno nazionale della Germania e fu composta da Joseph Haydn che la utilizzò come motivo di base del Tema con Variazioni scritto come secondo movimento del celebre Kaiserquartett op. 76 N° 3, si riconosce abbastanza chiaramente nelle battute iniziali esposte da quartetto d`archi che la scompone e quasi la polverizza in una serie infinita di microcellule motiviche. Su questa falsariga è costruito tutto il seguito della partitura, in cui si susseguono tutta una serie di giustapposizioni timbriche e armoniche dalle quali solo a tratti emerge il senso di qualche frase compiuta. Tuttavia la scrittura orchestrale di Lachenmann è concettualmente ben lontana dal presentare una serie di suoni casuali e disarticolati ma riesce invece, per così dire, ad unire i puntini trasformandoli in una sorta di Klangfarbenmelodie divisionista. Il gioco è molto sottile e richiede qualche minuto prima che l’ orecchio entro in sintonia con il linguaggio musicale della composizione, ma poi si viene conquistati da questa tavolozza sonora fantasmagorica che Lachenmann ci propone con una ferrea coerenza di mezzi strutturali e una grande ricchezza di linguaggio. Senza dubbio si tratta di un pezzo difficile e che richiede all’ ascoltatore una concentrazione attenta, ma che alla fine convince pienamente e si rivela davvero come una delle migliori partiture scritte da un compositore della nostra epoca. Sylvain Cambreling conosce questa musica più profondamente di chiunque altro essendone stato il primo interprete dopo prove condotte in collaborazione con l’ autore e ha diretto come meglio non si poteva desiderare una Staatsorchester partecipe e convinta. L’ esecuzione era ulteriormente impreziosita dalla partecipazione del celebre Arditti Quartett, un complesso che appartiene ai nomi storici della musica d’ avanguardia per le più di cento composizioni in prima esecuzione assoluta eseguite durante quarant’ anni di attività.
La prova generale alla Liederhalle. Foto ©Licht-Schein/Sebastian KleinVeniamo adesso a chiarire le ragioni che hanno suggerito a Cambreling di accostare il brano di Lachenmann alla Terza Sinfonia di Beethoven, eseguita nella seconda parte. Se ci si riflette sopra, la Sinfonia Eroica costituisce un punto di svolta nella produzione beethoveniana e segna un momento in cui il compositore di Bonn cambia decisamente il suo stile di scrittura per cercare nuove soluzioni. I due imperiosi accordi in mi bemolle maggiore che aprono un primo movimento in cui Beethoven forza decisamente le regole armoniche tradizionali saranno probabilmente recepiti dagli ascoltatori della prima esecuzione, la sera del 7 gennaio 1804 nel palazzo viennese del principe Joseph Lobkowitz, con lo stesso senso di straniamento che un ascoltatore di oggi prova davanti a una musica come quella di Lachenmann, eseguita nella prima parte. Come spiegato da Cambreling prima del concerto, questa è stata l’ idea di base da lui seguita nell’ impostazione del programma. L’ accostamento tra due autori tedeschi appartenenti a epoche distanti ma entrambi caratterizzati da uno spirito fortemente innovativo durante tutta la loro attività costituisce, in effetti, un’ idea logica e non banale. Dal punto di vista esecutivo, l’ interpretazione di Sylvai Cambreling è stata sicuramente notevole. Dopo il bel Fidelio da lui diretto lo scorso ottobre alla Staatsoper, il musicista di Amiens ci ha offerto un altro esempio del suo Beethoven sempre interessante, caratterizzato da sonorità compatte e da una condotta ritmica serrata. Cambreling non forza mai il suono, dosa con attenzione la dinamica differenziando molto bene il forte e il fortissimo, tiene sempre in tensione il discorso musicale sottolineando in maniera perfetta il respiro dei fraseggi e il senso generale delle architetture formali. Una lettura scattante, ricca di tensione interpretativa e notevolissima per bellezza di colori strumentali e senso ritmico. La sala era quasi piena e il pubblico ha applaudito a lungo tutti gli esecutori, con un particolare tributo di affetto verso Lachenmann che è stato più volte chiamato alla ribalta dopo la prima parte. È stato molto bello, vedere come il mondo musicale di Stuttgart abbia partecipato in maniera cospicua alle celebrazioni in onore di questo illustre esponente della cultura cittadina. In Italia, lo scorso maggio Lachenmann è stato fischiato e deriso alla Scala durante un concerto dedicato alla sua musica. Qui in Germania invece questa musica viene ascoltata attentamente da un pubblico che cerca innanzi tutto di comprenderla e l’ autore viene festeggiato. Se mi permettete, questo è solo uno dei tanti motivi che mi fanno decisamente preferire il pubblico tedesco rispetto a quello italiano.