Stabilità, crescita e solidarietà: vi spiego il “modello Kurdistan iracheno”. Intervista all’Alto rappresentante Rezan Kader

Creato il 14 gennaio 2014 da Giacomo Dolzani @giacomodolzani

di Notizie Geopolitiche*

I venti di tempesta che ormai da qualche anno soffiano sul Medio Oriente sembrano non lambire il Kurdistan iracheno e mentre non passa giorno senza che da Baghdad o che dalle altre città dell’Iraq arrivino notizie di attentati, di scontri interetnici e di violenze interconfessionali, l’altopiano abitato dai kurdi sta vivendo un momento di relativa tranquillità ed addirittura di prosperità, tanto da far pensare che in quell’angolo di mondo si sia giocata una carta vincente, che si possa indicare un “modello kurdo” quale esempio di società in rapida crescita e che gode di una singolare convivenza civile.
Sono quasi 6 milioni e mezzo gli abitanti di quella regione montagnosa spalmata a ridosso dei confini con la Turchia, la Siria e l’Iran: si tratta di una popolazione antichissima e dalla cultura plurimillenaria, tanto che la capitale, Erbil, con la sua Cittadella, è certamente il nucleo urbano più antico ancora oggi abitato.
Con la caduta del regime di Saddam Hussein, il Kurdistan iracheno ha potuto contare su un’autonomia forte dentro un Iraq federale, con una propria Costituzione, un Parlamento con più poteri, una legislazione indipendente rispetto a quella irachena, un proprio Presidente ed un Primo ministro. Ha anche un piccolo esercito equipaggiato con armi leggere, i “peshmerga”, ereditato da quelli che un tempo erano i partigiani autonomisti ed indipendentisti kurdi.
L’attuale presidente è Masoud Barzani, del Partito democratico del Kurdistan, che il suo partito nelle elezioni del governo lo scorso settembre ha vinto il 42,75% dei voti.
Il Kurdistan iracheno di oggi si presenta come una realtà moderna e dinamica e, vista la stabilità politica, è divenuto terreno interessante per le aziende e per gli scambi culturali; fatto non secondario, ha saputo aprire le porte ai molti in fuga dal conflitto siriano, dando prova di conoscere pienamente il valore della solidarietà.
Alla luce anche dei recenti contatti con il Governo italiano, Notizie Geopolitiche ha voluto interloquire con Rezan Kader, Alto Rappresentante del Governo regionale del Kurdistan iracheno in Italia:

- Dottoressa Kader, lo scorso 9 dicembre il responsabile degli Affari esteri della Regione autonoma del Kurdistan iracheno, Falah Mustafa Bakir, insieme a Lei ed a una delegazione governativa, ha incontrato il viceministro Lapo Pistelli, anche a seguito della sua visita a Erbil: si è parlato, tra le varie cose, di sostegno umanitario. Quali sono le emergenze che interessano il Kurdistan iracheno?
Io, in qualità di Alto Rappresentante del Governo Regionale del Kurdistan dell’Iraq in Italia già in precedenza avevo avuto un colloquio con il ministro degli Esteri, Emma Bonino, in merito al dramma che sta interessando la popolazione siriana, argomento verso il quale ha sempre dimostrato una grande sensibilità. La crisi nella vicina Siria ha ovviamente conseguenze anche nel Kurdistan iracheno, basti pensare che sono giunti da oltreconfine più di 200.000 profughi in condizioni spesso precarie, addirittura debilitati, privi di ogni cosa.
Noi, per la nostra storia, conosciamo bene questo tipo di sofferenze: durante il regime di Saddam Hussein, infatti, i kurdi subirono violente persecuzioni e persino attacchi con armi chimiche. Allora i nostri fratelli in Turchia, Iran e Siria aprirono i loro confini, ospitandoci sul loro territorio e soccorrendoci. Oggi tocca a noi, senza guardare la religione di appartenenza o l’etnia e sia il nostro Presidente, Masoud Barzani, che il Presidente del Consiglio dei Ministri Nechirvani Barzani hanno deciso di stanziare fondi del Governo per dare asilo a chi fuggiva dalla guerra in Siria. E’ stato poi deciso di destinare l’introito di un’intera mensilità del Governo all’assistenza dei profughi, perché per noi ogni vita è inestimabile; devo tuttavia dire che a Baghdad non tutti hanno gioito per questa nostra iniziativa.
Nonostante l’alto numero di profughi siriani presenti sul territorio del Kurdistan iracheno, la comunità internazionale e le Nazioni Unite hanno stanziato fondi solo per la crisi in Giordania ed in Libano, nei primi tempi ignorando le nostre difficoltà: noi non possiamo farcela da soli, servono urgentemente aiuti dall’Unione Europea e dalla comunità internazionale.
Per quanto l’Italia sia investita dalla crisi economica, il ministro Bonino ha risposto alle nostre richieste destinando ben 300.000 euro del bilancio della Farnesina quale contributo per far fronte alle difficoltà che si sarebbero presentate con l’inverno, che dalle nostre parti è estremamente rigido.
Il viceministro Pistelli, ha visitato il Kurdistan incontrando il ministro dell’Interno e il responsabile degli affari esteri, per valutare come utilizzare questi fondi che l’Italia ci ha fornito”.

- Avete ricevuto risposte positive anche da altri paesi europei?
“Io parlo solo per quanto riguarda l’Italia, paese dove svolgo il mio ruolo di rappresentanza, ma credo che anche altri Paesi come Francia e Gran Bretagna abbiano dato il loro contributo”.

- Lo scorso 10 agosto l’agenzia di stampa francese Afp ha riportato una dichiarazione del presidente Barzani in cui si legge che “siamo pronti a difendere i kurdi siriani che si trovassero sotto attacco da parte delle forze jihadiste”. Secondo la sua opinione è una minaccia che può essere considerata attendibile?
Non posso valutare quanto questa notizia possa essere attendibile, ma mi sento di affermare con sicurezza che il governo del Kurdistan iracheno non ha intenzione alcuna di interferire nelle faccende interne degli altri paesi. Non permetteremo tuttavia a nessuno di fare del male ai nostri fratelli: se qualcuno commetterà atti di violenza contro di loro noi reagiremo ma, in nessun caso, interverremo militarmente contro un paese straniero, poiché siamo convinti che un’azione militare non rappresenti in alcun modo una soluzione”.

- Le aziende italiane possono trovare terreno fertile per investire nel Kurdistan iracheno?
Le due condizioni indispensabili perché un paese possa essere appetibile per investimenti da parte di paesi esteri sono la sicurezza e la stabilità politica; mentre in Iraq queste non sono garantite, il Kurdistan è molto più sicuro principalmente per due motivi: la convivenza civile tra le persone e la solidità dei nostri governi. Nella nostra terra è presente un mosaico di etnie e religioni diverse, soprattutto cristiani e musulmani, persone che comunque riescono a convivere ed essere amiche senza problemi da secoli.
Mentre l’Iraq è in continua decadenza, il Kurdistan è in una fase di grande sviluppo, anche grazie allo sfruttamento delle risorse petrolifere, basti pensare che fino a pochi anni fa nella regione vi era un’unica università, oggi invece, tra parauniversità ed università, se ne contano una ventina; un altro segno di questa fase di espansione economica della nostra terra è rappresentato dall’estensione delle reti viarie. Durante il dominio di Saddam Hussein in Kurdistan non vi era nemmeno una strada, oggi invece ci sono strade, ponti e aeroporti internazionali all’avanguardia e una delle più lunghe piste aeroportuali è all’Erbil International Airport.
Tutti questi successi in campo economico e sociale sono dovuti in gran parte all’intelligenza ed alla lungimiranza di chi è stato al governo in questi anni: tali risultati non si sarebbero potuti ottenere senza stabilità e senza sicurezza. L’economia, infatti, si muove in modo parallelo rispetto alla politica”.

- Crede che una tale rapida crescita del Kurdistan possa creare invidie?
L’invidia c’è sempre, soprattutto nei paesi limitrofi, tra questi figura anche l’Iraq; tuttavia noi vogliamo mantenere buoni rapporti con tutti. Secondo l’opinione di gran parte della comunità internazionale, il Kurdistan oggi è un esempio di pace e convivenza tra culture, etnie e religioni differenti”.

- Il Kurdistan iracheno sta gradualmente ricoprendo un ruolo importante quale mediatore di pace in Medio Oriente, come per il tentativo di instaurare il dialogo tra il Pkk ed il governo di Ankara; il 16 novembre il premier turco Erdogan ha incontrato in un vertice il presidente Barzani, al fine di riprendere i colloqui di pace fra le due parti in causa, interrottesi in settembre. Che programmi avete per rendere ancora più incisivo il vostro ruolo come mediatori nella regione?
Il mondo è cambiato, i tempi in cui i nostri amici erano solo le montagne e le armi sono finiti. Oggi il nostro amico è la penna… il sangue porta sangue e la guerra porta altra guerra, noi vogliamo essere un ponte di pace e di fratellanza, una via di dialogo fra il governo turco ed il Pkk. E vogliamo convincere i kurdi che ancora combattono a preferire il dialogo con i governi.
La Turchia è stata tra i primi paesi ci che ha fornito il suo aiuto per ricostruire il Kurdistan e porre le basi della nostra nuova Regione. Ora noi vogliamo, in questo modo, collaborare con la Turchia.
Quando il presidente Barzani visitò il premier Erdogan a Diyarbakır, il 19 novembre, si sono poste le basi per la pace grazie all’intelligenza del Presidente Barzani ed al coraggio e all’intelligenza del Presidente Erdogan e alla volontà dei nostri fratelli turchi e anche kurdi. Il presidente turco diede il benvenuto anche a Şivan Perwer, cantante kurdo molto conosciuto che da più di 15 anni non tornava nel suo Paese, il Kurdistan della Turchia. Questo significa dialogo di pace!
D’altra parte il presidente Barzani non è solo il nostro leader, bensì è il padre di tutti i kurdi, e l’obiettivo che ci prefiggiamo è che tutti i nostri fratelli possano vivere in pace”.

- Così come avete portato avanti un dialogo tra il Pkk ed il governo turco, avete progetti anche per aiutare i kurdi dell’Iran ad instaurare un tavolo di pace con Teheran?
Come ho detto, noi non vogliamo interferire negli affari interni degli altri paesi, ma il presidente Barzani è il leader di tutti i kurdi e le porte del nostro paese sono sempre aperte per i nostri fratelli iraniani. Noi chiediamo a tutti i kurdi di essere uniti, non permetteremo a nessuno di fare ancora del male ai nostri fratelli; d’altra parte noi non smettiamo di essere grati al popolo dell’Iran che, quando abbiamo avuto bisogno, non ha esitato a venire in nostro soccorso. Quando Saddam ci ha bombardati con le armi chimiche, l’Iran ci ha aperto le porte, giornalisti e media iraniani hanno documentato e mostrato al mondo le nostre sofferenze, cosa che in seguito ci fu molto utile per provare i crimini del regime”.

- Nel luglio 2012 il presidente Barzani è stato accusato dall’Iraq di aver acquistato armi pesanti, mezzi anfibi e lanciamissili in trattativa con paesi stranieri: questa informazione corrisponde a verità?
L’Iraq compra armi pesanti ed F16 da tutto il mondo e, secondo la Costituzione avrebbe il dovere di armare anche i peshmerga kurdi. In realtà non fornisce alcun tipo di armamento e non mantiene i peshmerga e il Presidente non si è mai recato all’estero per comprare le armi bensì per saldare l’amicizia e la fratellanza con gli altri paesi e popoli. A noi non ci servono le armi e la nostra difesa devono essere i nostri amici europei e mondiali. Al contrario, il Presidente del Governo dell’Iraq continua a recarsi dappertutto specialmente in America e Russia per comprare le armi, come ben sa la Comunità mondiale lui ha acquistato gli F16 dagli USA ed altri armamenti pesanti dalla Russia. Pertanto noi manteniamo i nostri peshmerga con lo stipendio mensile ma non possiamo armarli, anche se fanno parte del ministero della Difesa dell’Iraq che neanche pensa a stipendiarli e nemmeno ad armarli come si deve. Ma viene da chiedersi: perché l’Iraq acquista tutte queste armi da Russia e Usa?”.

- Ci sono diversi accordi in campo culturale, economico e politico tra il governo del Kurdistan e l’Unione Europea, ad esempio avete trattati di collaborazione con Gran Bretagna, Francia e Germania. Non appare invece del tutto visibile il ruolo dell’Italia: ci può dire che tipo di rapporti avete con il nostro Paese?
Il nostro rapporto con l’Italia è ottimo, è il paese europeo con cui intratteniamo i maggiori scambi commerciali, circa 2-3 miliardi di dollari all’anno.
L’Italia ha cominciato a costruire il Rim Emergency Center in Kurdistan con l’equipe medica italiana ed altri medici ed ospedali italiani hanno aiutato i bambini kurdi affetti dalla talassemia o nel campo della cardiochirurgia.
Inoltre, l’Italia gestisce i nostri siti archeologici ed ha costituito scuole ed università per l’insegnamento dell’archeologia; diversi professori italiani hanno collaborato con istituti universitari kurdi e l’ateneo di Perugia, oltre ad aver firmato un accordo di cooperazione con quello di Sulaymaniyah, ha fornito dieci borse di studio ad alcuni nostri studenti. E’ stato poi sottoscritto un accordo con Franco Frattini perché sia la SIOI a Roma a gestire nelle appropriate sedi la diplomazia del Kurdistan iracheno.
E’ vero, l’aiuto dell’Italia è arrivato con un po’ di ritardo, ma le sue Forze armate hanno partecipato alla liberazione dell’Iraq e, per chi ha contribuito a destituire il regime di Saddam Hussein, le nostre porte rimarranno sempre aperte”.

- Il paragrafo 4 dell’articolo 121 della Costituzione irachena permette al Kurdistan di negoziare con la comunità internazionale, ma Baghdad in più occasioni ha dimostrato di non voler rispettare questa legge, non accettando accordi tra il governo kurdo ed altri paesi. Che rassicurazioni potete fornire alle aziende ed agli investitori che vogliono avviare attività in Kurdistan, nel momento in cui al governo iracheno rimane la possibilità di rigettare le vostre decisioni?
Noi abbiamo sempre rispettato la Costituzione dell’Iraq. Al contrario, a Baghdad, ai membri del governo centrale, non va bene nulla. A priori non accettano i nostri accordi con paesi terzi, ma questo è un problema loro: i nostri trattati internazionali sono legali, noi non usiamo i soldi del petrolio per gli F16, bensì per lo sviluppo e la stabilità del nostro paese. Ed è per questo che noi prosperiamo mentre il resto dell’Iraq è distrutto… di certo noi non possiamo fermarci per colpa del governo centrale.
Alcuni giorni fa, ad esempio, noi abbiamo cominciato a porre sul mercato mondiale il nostro petrolio grazie alla porta della Turchia tramite gli oleodotti: è stato di fatto ratificato un accordo regolare e perfettamente legale tra il Kurdistan ed un altro paese ed in questo modo continueremo a portare avanti altri negoziati nel rispetto della legislazione vigente sancita nella Costituzione dell’Iraq federale”.

*hanno collaborato Enrico Oliari, Giacomo Dolzani, Ehsan Soltani



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