Andrea ha studiato Ingegneria Gestionale a Torino, sta trascorrendo un periodo di tirocinio in Danimarca e ha scritto per noi le sue impressioni su due mondi del lavoro tanto diversi come il nostro e quello scandinavo
di Andrea V
Eʼ più semplice lanciarsi nellʼavventura straniera che non fare un colloquio di stage (che poi è una becera gavetta) nella propria città universitaria. Un altro elemento che spesso viene denotato come necessità è il fatto che agli occhi del “mercato” le esperienze allʼestero facciano guadagnare punti per accrescere il proprio profilo professionale. Non volendo entrare in giudizi soggettivi legati a queste necessità preferirò raccontarvi le enormi differenze che ho riscontrato rispetto alla cultura del lavoro e alla vita aziendale in Danimarca, differenze che ai miei occhi sono state interessanti e a tratti sbalorditive.
Si sappia che lʼattuale sistema economico (quello capitalista) crea delle primordiali gerarchie legate al fantomatico merito, alle competenze e alle capacità personali. Si sappia anche che queste gerarchie rigide e così universalmente diffuse sono ugualmente presenti in Italia e in Danimarca. Lʼelemento principe che separa lʼItalia dalla Danimarca è che in Italia le gerarchie hanno sempre creato, anche storicamente, delle enormi tensioni tra il proletariato e la classe dirigente, dallʼaltra parte dellʼEuropa nulla di ciò si è verificato.
Per descrivere meglio questa situazione vi mostrerò due personali casi di vita in cui queste differenze si sono verificate. Una delle due accadute proprio nella mia attuale sede di lavoro, situata in un piccola città della Danimarca, un Paese che si posizione nella regione scandinava. Lʼaltra a Torino, città del Nord-Italia dal forte passato industriale, sede dei miei studi universitari.
Passerò ora a un altro episodio, unʼaltra realtà aziendale: questa volta siamo in Italia e precisamente a Torino dove lʼazienda è nata e fatto i suoi profitti. La situazione cambia e si fa più tesa. Il cartellino qui si timbra eccome, inoltre gli operai stanno con gli operai, alla catena, gli ingegneri e i dirigenti davanti ad un computer in un loro stabile; qui la differenza di “classe” si fa e si deve sentire, le gerarchie devono apparire, bisogna capire che qualcuno comanda e qualcun altro esegue gli ordini. E così nasce anche unʼ architettura aziendale ben precisa: da una parte i capannoni della produzione, dallʼaltra, anche lontani fisicamente, gli uffici.La struttura è tutta circondata da inferriate ed enormi cancelli, anche il concetto di proprietà deve essere molto chiaro.
Gli operai prendono lo stipendiuccio, spesso sono in cassa (quasi a dire che sono un problema), gli alti dirigenti prendono somme esorbitanti, quasi da insulto rispetto a chi sta dallʼaltra parte… le gerarchie si devono sentire anche con il peso dei soldi. E’ dentro questa struttura che nascono le tensioni, le risse, gli scontri; è in questa struttura che nasce lʼalienazione, la vergogna, la rabbia. Da queste due esperienze ho cercato di trarre delle conclusioni che cercano di seguire una logica quanto più razionale possibile. Le differenze legate allʼapproccio e allʼarchitettura dʼazienda sono ovviamente responsabilità aziendali e non penso che sia unʼanalisi così interessante da fare. Le differenze legate al problema di “classe” hanno invece piena responsabilità politica. Sono convinto che nel nostro Paese queste differenze dipendano dal fatto che parole come welfare e uguaglianza sono scomparse dallʼagenda politica .
La crisi economica è come se avesse rimosso questi due elementi, fondamentali per una società evoluta e civile. Ultimamente si tende a parlare di ripresa con ricette poco chiare e condivisibili (vedi la Legge di stabilità). La crisi economica ha portato lʼItalia a diventare sempre più un Paese di spietate divisioni: il Paese dei poveri e dei ricchi, dei precari e dei reddito fisso, dei “minorati” intellettuali e dei meritevoli, dei coglioni e dei furboni…il Paese dei fuochi fatui e delle polemiche sterili.
Penso allora che il punto di partenza necessario sia iniziare a riprendere il concetto di welfare, nato proprio nelle regioni del Nord- Europa. Un concetto che ha portato queste regioni a puntare forte su un diritto universale come lʼuguaglianza e che ha incondizionatamente aumentato la qualità della vita. Quando allora tutto ciò diventerà di nuovo punto cardine della nostra agenda politica? Il merito non ci basta!
Ho accettato volentieri la proposta di scrivere un articolo in questo spazio di idee che è il vostro blog e per questo faccio un sincero ringraziamento a tutto lo staff. Le due aziende prese in considerazione sono la Siemens e la FIAT.