Segue dalla TERZA PARTE
Quali potrebbero essere i caratteri, quindi, di un tirocinio ideale?
Finora si è parlato soprattutto di quale sia lo status quo e di quali direzioni dovrebbe prendere una più equa gestione dello strumento del tirocinio. Il paragone con il contratto di apprendistato ha permesso anche di comprendere quali siano le reali potenzialità delle due modalità nella direzione della formazione e dell'inserimento lavorativo.
Tornando al Convegno “INTERNSHIP AND TRAINEESHIP FOR STUDENTS AND YOUNG PEOPLE: Training, School-To Work Transition or Exploitation?” di ADAPT, un intervento pomeridiano del 26 ottobre è stato particolarmente interessante per comprendere come viene trattato lo stage nei mercati del lavoro esteri.
Il dottor. Andrew Hanson, analista di ricerca al Centro Universitario di studi sull'Educazione e sulla Forza Lavoro, nel suo intervento ha esortato ad adottare una visione più manageriale verso il fenomeno.
Ad esempio: come vengono selezionati i tirocinanti nel mondo? In questo frangente l'Italia occupa una posizione anomala rispetto ad altri paesi del mondo, soprattutto rispetto al modello anglosassone: se infatti nel nostro Paese (come in altri paesi dell'Europa Continentale) domanda ed offerta di stagisti sono regolate dal libero mercato, in Australia, Regno Unito e Stati Uniti, questo incontro avviene principalmente durante i career day organizzati da istituzioni scolastiche ed università.
E quali strumenti sono necessari al tirocinante? Fa riflettere il modello, difficilmente replicabile in Italia, del Regno Unito, dove non è il curriculum ad essere portato all'attenzione dei selezionatori, ma le lettere di referenza scritte dai professori con cui ha studiato o lavorato il candidato. Per evitare abusi, in questo caso sono molto frequenti delle ispezioni da parte di autorità terze al rapporto di lavoro.
Non sono solo queste, ad ogni modo, le differenze che si trovano tra Paese e Paese sul tema del tirocinio. Fa ancora più riflettere il fatto che prevedere un contratto di inserimento per "giovani lavoratori" omogeneo a livello internazionale incontra anche solo nel nome delle perplessità linguistico-giuridiche. Quando un giovane è lavoratore, e non, ad esempio, un tirocinante ancora in formazione? E, sembra una provocazione ma non lo è, quando un lavoratore può essere definito giovane?
Anche nell'ottica di prevenzione degli abusi è stato tracciato un modello per un sistema di tirocinio internazionale di qualità.
Perché questo è necessario, innanzitutto? Alla domanda perché sono state date tre risposte:
- Perché si incontrino domanda ed offerta di competenze, certificate al di là delle differenze linguistiche;
- Per la spendibilità di tali competenze che siano certificate o meno da un titolo di studio;
- Perchè si credi un legame più stretto tra formazione e lavoro.
Alla domanda precedente segue, naturalmente, una spiegazione del come realizzare questo piano:
- Facendo riferimento a standard già esistenti ed accettati su tutti i mercati del lavoro (come lo sono quelli per la conoscenza linguistica, ad esempio);
- Creando, ove necessario, anche nuovi standard internazionali;
- Introducendo però misure diverse in diversi paesi - in modo che ognuno adotti la soluzione più consona alla formazione dello standard omogeneo richiesto.
Restano molti dubbi sul fatto che progetti come questi possano essere adottati in Italia. Molti sono infatti i problemi che il nostro mercato del lavoro rileva agli osservatori internazionali: eccesso di burocrazia (vedi gli ormai noti 12 ostacoli), l'intervento non sempre conciliante delle parti sociali e l'assenza di un indice/repertorio nazionale di competenze.
La situazione non è disperata: basterebbe promuovere maggiori connessioni tra apprendistato e certificazione ed un monitoraggio sul minimo standard qualitativo.
Simone Caroli