E’ la stagione delle ciliegie, pesche e bilanci delle ONLUS\NGO, come per i frutti di stagione qualcuno è un po’ marcio. Noi, come ogni anno, diamo un occhiata a questo florilegio di numeri e dichiarazioni d’intenti, spesso con conati di vomito. Nessuna velleità d’analisi accurata, solo uno sguardo per far risaltare i dati più macroscopici di come queste organizzazioni impegnate nel sostegno a distanza o nella cooperazione internazionale spendono i soldi a loro donati da milioni di cittadini. Il nostro analista ciondolone Max è a Londra, sfatta per le performance di Cappello e le cure economiche del nuovo governo conservatore. Situazione non buona nella City che non riesce a procurare i redditi del passato alla moltitudine di ex yuppies frastornati. Max mi dà, dunque, un aiuto analizzando (sempre con leggerezza) qualche bilancio.
I bilanci del 2009 non si discostano molto da quelli già visti in altri posts per gli anni passati: spese accorpate e indecifrabili, incapacità di comprendere quanto si destina, realmente, ai beneficiari, costi di struttura e marketing (per raccogliere soldi) crescenti, il 30-40% dei fondi fermi in banche, cassa o fondi d’investimento (invece d’andare ai beneficiari). Se va bene bilanci simili a quelli di una holding più che una organizzazione sociale (sono chiamate “attività finanziarie o immobilizzazioni”). Si riscontra, generalmente, una diffusa crescita delle donazioni private, rispetto al nero 2008: (Aiutare i Bambini + 6%; Action Aid +5%; Save The Children + 26% ma –20% da aziende; Compassion +7%). Alcune ONLUS (TDH, e SOS Italia) non hanno ancora pubblicato i bilanci.
Ci sono poi le maglie nere che scontano la gestione approssimativa e la poca efficienza dei progetti come CCS Italia (-15 % per il secondo anno consecutivo) o ACRA (-40% da donazioni private, resistono con i soldi regalati da stato e enti vari). Si nota un aumento generale delle spese di struttura e di marketing (media +12%). Evidentemente chi più investe in pubblicità come Action Aid (18% dei fondi donati per i progetti), Aiutare i Bambini (18% dei fondi raccolti per i bambini) o Save The Children (30% dei soldi versati per i bambini) riesce più facilmente a vendere il prodotto (progetti per i poveri del mondo).
Casi limite CCS Italia (tragicomico) che ha un record in quanto a spese di struttura e marketing (euro 209.000 per attività di comunicazione, 395.000 per supporto generale, 80.000 per ristrutturazioni uffici in affitto) e chiude il bilancio in rosso per il secondo anno consecutivo (2008 – 100.000; 2009 – 214.000), risultato da libri in tribunale per un’azienda privata. Le cause le abbiamo già viste in altri posts: pessima gestione dei fondi, progetti inefficaci, tante spese per fare fumo e poco arrosto e i donatori se ne accorgono.. La ragione è classica per ogni ente: quando entrano politici e portaborse lo distruggono, succhiano il possibile per poi fuggire. Anche qui sta accadendo lo stesso. L’eroica e decrepita Fernanda Contri (già nota in questo blog per una tentata censura) ha abbandonato la barca, il suo compare Stefano Zara sta pensando di fare lo stesso, prima che il buco (non coperto come in altri business dai soldi statali) diventi colossale. I testimonial amici come Bertolaso sono stati risucchiati da massaggiatrici e case dell’Opus Dei (una delle più grandi ONLUS del mondo) e, dunque, bisogna trovare alternative per far sopravvivere chi ha distrutto l’organizzazione e le speranze dei beneficiari. Un idea c’è, ed è una novità nel settore del no-profit che merita di essere raccontata. Come per le aziende private decotte e piene di debiti si pensa di fare una fusione o cedere un ramo d’azienda. Alcuni dei dirigenti (stipendi euro 100.000 annui) provengono da ACRA, una ONG che ha, finora vissuto, grazie ai fondi pubblici (governo, UE) cioè le nostre tasse. Questi parastatali hanno pensato di lanciarsi sul mercato delle donazioni private ma hanno avuto un calo di oltre il 40% rispetto al 2008), ciò a dimostrare che non tutti i donatori sono polli. Quindi ecco l’idea di una probabile fusione, per salvare capra e cavoli.
Ma Max mi riporta ai bilanci e segnala che per esempio Aiutare i Bambini spende il 56% dei fondi raccolti (totale euro 3,5 milioni), per struttura e marketing, scrivendo nel Bilancio Sociale “ 90% dei fondi destinati ai progetti d’aiuto ai bambini”. Max, anglosassone, non capisce come Un-Guru (società che analizza i bilanci delle ONLUS per il Sole 24 ore) non faccia due calcoli prima di elargire premi e Oscar per i migliori bilanci o altre benedizioni di carta. Glielo spiego io, perché in Italia la stampa (e i revisori o presunti tali) cercano di non scontentare amici, potenti, potenziali clienti e, comunque, di non rompere i marroni quando non vi è un interesse diretto. Eppure i numeri sono lì, ma è più facile leggere e trascrivere le dichiarazioni delle ONLUS\ONG; anche qui (come per i progetti e le attività delle stesse) il lavoro non piace.
Un- Guru non si è chiesta: ma quando Action Aid dichiara “oneri per il sud del mondo” il 55% dei fondi raccolti (euro 28 milioni) che fine hanno fatto gli altri 45%; il donatore lo sa come sono utilizzati nel dettaglio questi 28 milioni? Domande già poste e risposte scontate: ma servono per pagare stipendi a funzionari stranieri o ai ricchi dei paesi poveri (normalmente impiegati nelle ONG), comprare macchine, pubblicare report patinati, affittare uffici galattici, pagare hotel per convention e workshop o a fare qualcosa di utile per i bambini fotografati e venduti nel loro sito e\o brochure. E di questi soldi quanto realmente vanno nei paesi beneficiari o ritornano sotto forma di stipendi ad espatriati o, peggio quando all’interno delle “spese per progetti” sono spalmati costi di struttura italiane (vedi bilancio CCS Italia) ? E’ giusto che Compassion spende il 30% dei fondi “per concerto con artisti di chiara fama”. O Save The Children dichiara in bilancio euro sette milioni per “attività di supporto” (il 30% dei fondi raccolti), che significa?
Fermiamoci qua e compriamoci un bell’anello di Bulgari così manteniamo qualche funzionario di Save The Children.