Se siete tipi curiosi e intraprendenti anche in cucina e amate sperimentare sapori diversi dal solito, allora le erbe spontanee e comuni nei nostri campi possono riservarvi più di una sorpresa, come nel caso del Cardo mariano, apprezzatissimo in fitoterapia ma gustoso anche nel piatto, sia cotto che crudo.
Prima di proseguire però serve una fondamentale avvertenza, anzi due. La prima e che, nonostante sia impossibile da confondere con altre piante, cogliete il Cardo mariano SOLO ED ESCLUSIVAMENTE se siete sicuri che sia proprio lei la pianta che state per consumare: con queste cose non si scherza soprattutto perché, avvicinandosi alle piante spontanee senza la dovuta preparazione, il pericolo di intossicazione e/o avvelenamento è sempre dietro l’angolo e non vale la pena rischiare la propria salute per così poco; la seconda avvertenza è sempre legata alla salute: cercate di evitare di cogliere il Cardo vicino a strade o a luoghi inquinati perché consumare una pianta che cresce di fianco a una carreggiata è tutto fuorché salutare…
Come potete notare dalla foto qui sopra il Cardo mariano (Silybum marianum) ha un aspetto inconfondibile. È una vigorosa pianta biennale che appartiene alla famiglia delle Asteracee ed è parente alla lontana di cardo e carciofo. Il primo anno crea una rosetta di foglie e nel secondo si erge con un fusto che può tranquillamente superare il metro d’altezza e al vertice del quale forma gli inconfondibili fiori color rosso-purpureo, minacciosamente protetti da inquietanti brattee. Del resto alla pianta piace difendersi bene: il margine delle foglie è munito di robuste spine dalle quali è bene tenersi a debita distanza. Anche il colore distingue bene la pianta: è un inconfondibile verde tendente al celeste che nelle ondulate foglie è alternato da una fitta trama a reticolo di colore bianco.
Il bello, o meglio il buono, del Cardo mariano è che si può consumare tutta la pianta: radici, foglie, fusti e capolini floreali possono essere mangiati sia cotti che crudi. Personalmente ho sempre consumato la pianta cruda e solo foglie, fusti e capolini e per questo mi limito a riferire solo di questo aspetto, almeno fino a quando non avrò sperimentato alcune ricette che voglio provare e che promettono di essere molto gustose.
Gustosa è comunque anche la pianta mangiata cruda, a patto di cogliere le varie parti al momento giusto.
Le foglie per esempio sono ottime consumate per tutto il primo anno mentre nel secondo possono essere raccolte durante il periodo primaverile e fino alla fioritura. È bene comunque scartare quelle più vecchie e basali, perché in genere troppo fibrose, e preferire quelle giovani e piccole che sono molto più tenere.
Una volta lavate bene con dei guanti (o con molta attenzione!) si taglia via la costola centrale che non è buona da consumare cruda perché troppo coriacea.
L’operazione più delicata è però la rimozione delle spine dalla lamina: in questa fase dobbiamo prestare la massima attenzione a non bucarsi (le spine sono dolorose e infide, sembra di evitarle ma…) e soprattutto a non lasciarne neanche una perché non oso immaginare cosa si possa provare con una spina piantata nel bel mezzo della lingua. Tenendo saldamente la foglia dal centro e aiutandosi con un coltello si taglia via la lamina il più vicino al bordo ma comunque quel tanto che basta per eliminare le spine. Una volta “messe in sicurezza” le foglie possono essere sminuzzate con le mani.
I fusti sono disponibili solo il secondo anno di vita della pianta (anche se a volte si comportano da annuali e li producono fin da subito) e vanno raccolti fino a quando i capolini non si gonfiano e si trasformano in veri e propri fiori. Sia il fusto che le ramificazioni (da preferire perché più tenere) vanno sbucciati della parte esterna che è dura e fibrosa e cunsumati nella parte interna, il midollo, davvero buono che spezzettato può essere aggiunto all’insalata.
Ma la vera prelibatezza della pianta sono i capolini floreali, provare per credere. Devono essere prelevati fino a quando sono completamente chiusi e comunque non troppo formati. Sia per il breve periodo di disponibilità sia perché una volta puliti non rimane un granché da mangiare, i capolini sono la parte più difficile da gustare ma ne vale la pena. Si tagliano alla base e si tolgono le spie ed eventualmente la parte interna se la formazione del fiore è in stato avanzato (così come succede con la “peluria” interna dei carciofi) e quel (poco) che rimane si unisce all’insalata.
A questo punto non rimane che aggiungere dell’ottimo olio extravergine d’oliva, un goccio di aceto (mi raccomando, quello buono di vino, fatto dal contadino, e non quella schifezza chimica che vendono nei supermercati), sale quanto basta e apprezzare questa gustosa e insolita (almeno sulle nostre tavole) insalata a costo zero.
Buon appetito!