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Standard & Poor’s declassa l’Italia. Colpa di IVA e IMU

Creato il 11 luglio 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online

Standard&Poor’s boccia nuovamente l’Italia, declassandola da BBB+ a BBB con previsioni negative. Questo non fa altro che gettare Standard-and-Poors benzina sul fuoco del dibattito politico. La colpa del declassamento ricade infatti sul mancato aumento dell’IVA e il rinvio dell’IMU, che pongono il governo in difficoltà circa il reperimento di risorse per coprire i mancati incassi.

I problemi dell’Italia risiedono nella debolezza dell’economia che solo quest’anno si contrarrà dell’1,9%. Per evitare la bocciatura non bastano nemmeno l’aumento dello 0,5% del potere d’acquisto delle famiglie italiane, né i risparmi che tornano a segnare un leggero incremento dello 0,9%, entrambi i dati su base annuale. Certamente molti politici ricorderanno i conflitti di interesse delle agenzie di rating e porteranno nei talk show gli esempi dei casi in cui queste hanno clamorosamente sbagliato, su tutti la Lehman Brothers, che prima di fallire godeva del massimo livello di rating.

Nell’analisi di Standard&Poor’s però c’è del vero. L’Italia ha bisogno di quelle riforme strutturali che hanno un costo politico. Riforme che se fatte per restare a galla all’ultimo minuto garantiranno una mera sopravvivenza al paese, ma se fatte prima, ponendo i sacrifici in un’ottica progettuale, possono portare sviluppo e crescita. Se la riforma delle pensioni fosse stata approvata 15 anni fa o più,  in una versione più leggera di quella della Fornero,  probabilmente si sarebbero potute abbassare le tasse sul lavoro nel complesso e oggi avremmo molta più occupazione e meno debito pubblico. Visto che si è lasciato passare del tempo, oggi gli italiani pagano molto più care le riforme che comunque il mercato avrebbe imposto. Proprio quel mercato del lavoro sul quale pesa una verità: il costo del lavoratore dipendente italiano a tempo indeterminato, i 1500 euro al mese medi, è quello che nessuna azienda vuole più pagare. Gli investimenti durevoli rimangono costosissimi in quanto a risorse umane e costo dei capitali, visto che lo spread pesa anche sulle aziende che pagano un’ulteriore differenziale rispetto ai rendimenti dei titoli di Stato. Come se non bastasse, la politica si è mostrata noncurante dei preoccupanti segnali provenienti dall’espansione del capitalismo mafioso. Le agenzie di Rating come Standard & Poor’s quindi continueranno a punire l’Italia prima di tutto per mancanza di prospettive.

La buona notizia è che i nostri titoli di stato verranno comunque venduti nel breve periodo perché sono gli unici che danno un ritorno economico in grado di superare di poco l’inflazione e sono essenziali per i fondi pensionistici americani e tedeschi. Con i Bund o i Treasury  Bonds   infatti non è possibile ottenere rendimenti sufficienti per costruire finanziariamente un fondo pensione o una polizza vita.

articolo di Francesco Boccardo


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